martedì 21 ottobre 2008

Scuola: obiezioni e risposte

Come è possibile fare un riforma della scuola per decreto legge, a pochi giorni dall’inizio dell'anno scolastico? Il decreto legge non è una riforma della scuola ma contiene solo alcuni provvedimenti di buon senso, utili da subito per una scuola migliore. Ad esempio, lo studio dell'educazione civica risponde a un'esigenza precisa di educazione degli studenti italiani e di integrazione per gli studenti stranieri, perché i ragazzi a scuola devono imparare anche a diventare dei cittadini consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. Inoltre nel concetto di educazione alla cittadinanza rientrano anche l’educazione ambientale, l’educazione a tenere corretti stili di vita, ossia l’educazione alla salute. È un concetto ampio che rimanda allo studente come persona e non come a una scatola in cui immettere nozioni. Chiunque capisce che prendere 6 è peggio che 8 e che insufficiente è peggio di buono. Che bisogno c’era di reintrodurre i voti? E il voto in condotta? Il voto in condotta serve a ribadire che la scuola non è solo un luogo dove si apprendono competenze ma anche un luogo educativo: è un deterrente contro il bullismo e dice con chiarezza che non è con il lassismo e il buonismo che si aiutano i ragazzi a migliorare e a capire che la scuola, come la vita, esigono impegno e dedizione per ottenere buoni risultati. Il ritorno ai voti è un elemento di chiarezza, per misurare in maniera precisa il profitto conseguito nelle singole materie. Il voto è un elemento di ordine, di semplicità perché misura in maniera precisa il risultato: un 5 è un 5, un 7 è un 7. Così le famiglie possono valutare meglio come sta andando il loro figlio e meglio sostenerlo. Negli ultimi anni il giudizio era diventato sempre più fumoso, meno comprensibile, un giro di parole per non dire con chiarezza il livello di profitto del singolo studente. Si può ragionare, come per la scuola elementare anche per la scuola media, di unire al voto il giudizio, che diventa motivazione e per spiegare il voto conseguito nella singola materia. La scelta di tornare al maestro unico alle elementari ha scatenato molte proteste. Walter Veltroni ha detto in televisione che il tempo pieno sarà di fatto azzerato, le donne non sapranno più dove tenere i figli mentre lavorano, nei piccolissimi centri saranno chiuse le scuole. Le solite bugie, che già la sinistra ripeteva cinque anni fa, ai tempi della riforma Moratti. In realtà il tempo pieno alle elementari sarà aumentato del cinquanta per cento, ridistribuendo i maestri che non saranno più impegnati nella compresenza in classe. Con l'insegnamento a modulo abbiamo attualmente tre docenti per due classi. Eliminando la compresenza di insegnanti per la stesse ore, possiamo utilizzarli meglio, garantendo anche la presenza dell'insegnante di lingua straniera, di informatica, educazione fisica. Le famiglie non hanno niente di cui preoccuparsi. Da un punto di vista pedagogico il ritorno al maestro unico recupera la funzione educativa del docente, quale punto di riferimento anche dal punto di vista relazionale per i bambini e per le loro famiglie. Le famiglie potranno scegliere l’orario settimanale più adatto alle loro esigenze e le singole scuole si organizzeranno in base alla loro domanda. Le famiglie che volessero occuparsi dell'educazione dei propri figli in orario pomeridiano sceglieranno classi assegnate ad un unico insegnante e funzionanti con un orario di 24 ore settimanali, altre opteranno per il tempo pieno. Il ripristino delle 24 ore e del maestro unico è una opportunità in più offerta alle famiglie e non l’unico modello organizzativo della scuola primaria. Chiuderanno le scuole nei piccolissimi centri? Nessuno pensa di chiudere gli istituti nei centri isolati o montani, perché prevale ovviamente l’obbligo sociale di garantire a tutti il diritto all’istruzione. Rimane tuttavia da correggere l’anomalia italiana per la cui abbiamo un insegnante ogni 9.7 alunni mentre la media europea è di un insegnante ogni dodici allievi. Tra i risparmi si troveranno risorse per l'edilizia scolastica, che versa in condizioni disastrose? Il ministro Gelmini sta lavorando con il sottosegretario Guido Bertolaso per individuare le scuole a rischio e sta operando affinché enti locali e Governo facciano uno sforzo per liberare finanziamenti per l'edilizia scolastica. Servono ingenti somme, non sarà possibile fare tutto e subito, ma l'edilizia scolastica è una priorità. Il governo taglierà i posti degli insegnanti di sostegno? Il ministro Gelmini ha garantito con forza che non vi è stato e non vi sarà alcun taglio che possa interessare i docenti di sostegno. I criteri per la determinazione dei posti di questa categoria di docenti sono stati definiti nell'ultima finanziaria del governo Prodi e non sono stati modificati. Infatti, per l'anno 2008-2009 sono stati confermati a livello nazionale tutti i posti di sostegno funzionanti nell'anno scolastico 2007-2008: rispetto a circa 174 mila alunni sono stati attivati complessivamente 90.882 posti, pari esattamente a quelli a suo tempo attivati per l'anno scolastico 2007-2008. Garantire la continuità didattica - che è un principio importante nella nostra scuola (e in modo particolare per gli alunni diversamente abili) - e valorizzare gli insegnanti di sostegno sono i due cardini dell’ impegno sul tema della disabilità nella scuola. Si parla solo delle elementari e per le medie e le superiori il governo non fa nulla? La scuola media è un punto di criticità come dimostra il dato che dopo il primo anno di scuola superiore in una regione come la Lombardia il 25% dei ragazzi non si iscrive al secondo anno. La dispersione scolastica è una dispersione pesante a significare che il passaggio tra la scuola media e quella superiore, qualunque sia l’indirizzo, è traumatico. Il ministro sta valutando di focalizzare gli insegnamenti della scuola media sulle materie fondamentali come l’italiano, la lingua straniera, la matematica, le scienze e su queste materie concentrare lo studio dei ragazzi, al fine di dare loro una solida preparazione che prevenga la dispersione scolastica. Da settembre 2009 partirà la riforma delle superiori, la cui ossatura sarà costituita dalla riforma Moratti, una base di lavoro che non va sprecata. L’obiettivo è affiancare al sistema dei licei una riqualificazione della formazione professionale e degli istituti tecnici che non devono essere considerati una scuola di serie B. Il governo abbandona al loro destino i precari. I precari hanno diritto di essere arrabbiati con la politica per le scelte fatte negli ultimi trent’anni. Il precariato è il frutto di un errore macroscopico che è stato fatto nel mondo della scuola: si è sovrastimata la capacità della scuola di creare posti di lavoro e oggi c’è una sproporzione tra il numero degli insegnanti e il fabbisogno oggettivo della scuola. Il governo ha quest’anno potuto mettere in ruolo solo 25.000 persone, quello che il sistema consente. Bisogna voltare pagina. In che modo? In primo luogo dicendo le cose come stanno. Il ministro Gelmini ha scelto di dire delle verità scomode e di non perpetuare un meccanismo distorto che ha prodotto il precariato “storico” e lo ha moltiplicato nel corso del tempo. In secondo luogo il governo vuole dare al mondo della scuola chiarezza e stabilità, norme durature e inequivocabili, rivedendo il meccanismo di formazione e accesso al lavoro. La commissione creata per questo e presieduta dal professor Giorgio Israel, presenterà una proposta che prevede dopo la laurea un anno solo di studio invece di due, e un secondo anno di tirocinio. Dopo questa esperienza in classe ci sarà un concorso. Infine l’ultima finanziaria del governo Prodi aveva abrogato l'articolo 5 della riforma Moratti, facendo venir meno il valore abilitante della laurea in scienza della formazione. Nel decreto-legge del primo settembre 2008 è stato nuovamente riconosciuto il valore abilitante della laurea in scienza della formazione, sanando anche la posizione di coloro i quali si sono laureati dopo l'entrata in vigore della norma contenuta nella precedente finanziaria. E chi ha già frequentato il “famigerato” IX ciclo delle Ssis, le scuole di formazione biennali posta laurea? Il problema di questi ragazzi del IX ciclo rappresenta l’emblema di un modo di procedere, in cui per non dire di “no” si dice di “sì”, ma in realtà senza avere gli elementi per farlo. Il governo Prodi con la finanziaria 2007 da un lato aveva trasformato le graduatorie permanenti dei precari in graduatorie ad esaurimento, chiudendole ai nuovi usciti dalle Siss. Ciò nonostante, ha autorizzato i corsi relativi al nono ciclo delle Siss e i corsi biennali presso gli istituti di alta formazione artistica e musicale. Si è dato con la mano sinistra il via libera ad un treno destinato a fermarsi davanti ad un muro costruito con la mano destra. Per porre rimedio a questa situazione, il ministro Gelmini ha fatto due cose: a) sospeso per l'anno 2008-2009 le procedure per l'accesso alle SSIS, per porre fine al paradosso di corsi destinati a sboccare nel nulla. b) riaperto le graduatorie fino al 2008, in modo che i ragazzi che hanno frequentato le Ssis e si sono pagati una scuola oltre i costi dell'Università, possano almeno accedere a una graduatoria. Ma intanto i precari restano nelle graduatorie. Li manderete a fare le guide turistiche? Il governo sta valutando quali risposte dare al precariato. Con la Finanziaria non licenziamo nessuno, nel senso che gli insegnanti di ruolo vanno avanti a fare il proprio mestiere, ma le aspettative dei precari invece rischiano di essere disattese. Rispetto a questo nessuno ha mai immaginato un impiego nel turismo, semplicemente si stanno cercando strade alternative. Per esempio, mentre c’è un esubero di insegnanti in materie umanistiche, c’è una mancanza di insegnanti di matematica e di lingue. Ai docenti precari potrebbe essere chiesto lo sforzo di apprendere altri insegnamenti oppure nell’ambito della cultura forse si possono trovare nuove professionalità, ma nessuno ha mai pensato di mandare gli insegnanti a fare le guide turistiche; questa è cattiva informazione che sfrutta i timori delle persone in difficoltà per attaccare il governo e creare panico. La «manovra d'estate» prevede il taglio di 87mila cattedre in tre anni. Per la scuola un costo alto. Gli insegnanti rappresentano tradizionalmente lo zoccolo duro dell’elettorato di sinistra. Si capisce dunque che il Pd voglia difenderli. Il problema è di mettersi d’accordo su che cosa significhi la difesa di una categoria vitale per il nostro futuro. Un insegnante frustrato e malpagato serve a poco. Perché non tentare una svolta? L’Italia spende per la scuola come la media europea: 3.5% del Pil. La scuola, cardine del futuro di ogni nazione, in Italia è diventata uno stipendificio: il 97% dell’investimento se ne va per stipendi da fame, i peggiori d’Europa. Se una persona di buonsenso ha un numero di insegnanti superiore alla media e retribuzioni sotto la media che fa? Riduce gli insegnanti e aumenta le retribuzioni. Negli ultimi dieci anni la spesa del ministero dell’istruzione è aumentata del 30%: da 33 miliardi di euro nel ’99 a 43 miliardi nel 2008 ma senza investimenti in qualità, innovazione, in laboratori, in edilizia scolastica. Gli otto miliardi di risparmio programmati per i prossimi tre anni non tagliano la spesa attuale, eviteranno lo sfondamento del tetto dei 50 miliardi. Non incidere sui meccanismi di spesa vuol dire assumersi la responsabilità di un tracollo nel breve periodo. L’obiettivo è l'individuazione del costo standard, in modo che questo costo venga finanziato in ogni Regione, senza spendere un euro in più del necessario e recuperando risorse per premiare gli insegnanti migliori, cui è destinato il 30% dei risparmi. Fonte: Marko's Blog

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