martedì 21 ottobre 2008

L'Italia degli sprechi. Le mani bucate degli Atenei

Venti università sono sull'orlo del dissesto finanziario, salvate dagli sconti contabili. Fondi che vanno in fumo in stipendi. Autore: Andrea Sartori (Insegnante) Fonte: magdiallam.it

L'università italiana insorge per l'approvazione della legge finanziaria che prevede, come per tutti gli altri settori della spesa pubblica, forti tagli alle risorse. Però, guardando le voci di spesa degli atenei ne possiamo constatare l'inefficienza. Metà delle università italiane spende tutti i fondi in paghe. Venti atenei italiani sono per questo motivo sull'orlo del dissesto finanziario e sono salvi solo grazie agli sconti contabili. Infatti se giovedì scorso la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) ha dato voce alla protesta per i tagli previsti, però possiamo anche notare che sei università spendono in stipendi il novanta per cento dell'ammontare dell'intero Fondo ordinario per l'università, ovvero il tetto massimo stabilito per legge. E' quanto si può ricavare dai grafici riportati oggi da ''il Giornale'' elaborati sui dati, appunto del Ffo, ovvero del Fondo ordinario per le università. Tra le università più ''virtuose'' possiamo notare la presenza di due atenei della capitale (Roma Tre e Roma Iusm) e di due università meneghine (Politecnico di Milano e Milano Bicocca), mentre le più spendaccione sono le università di Siena, Firenze, Pisa, Bari, L'Aquila, Pavia, Trieste, Molise, Cassino e l'Orientale di Napoli. Quest'ultima risulta l'università più spendacciona, con un investimento negli stipendi che tocca il 95,8 per cento del bilancio. Ma se la situazione già così sembra tutt'altro che allegra, se andiamo a vedere i dati del ministero dell'Università pubblicati il 28 luglio da ''Il Sole-24 Ore'' il quadro si tinge di colori ancora più cupi. Infatti se le università che formalmente hanno sfondato il tetto del 90 per cento sono formalmente sette, qualora non fossero applicati gli ''sconti'' contabili, vale a dire la non computazione degli incrementi stipendiali annui e la riduzione di un terzo dei costi per il personale convenzionato con il sistema sanitario nazionale, le università che hanno passato con irregolarità nel bilancio salirebbero a ventisei. Inoltre, tranne gli atenei di Pisa e Catania, tutte le università hanno incrementato, dal 2006 al 2007, la percentuale di bilancio data agli stipendi. Ma allora cosa resta nelle casse universitarie per finanziare la ricerca? Giulio Ballio, rettore di uno degli atenei più virtuosi d'Italia, vale a dire il Politecnoco di Milano, dice che non resta quasi nulla in cassa. Proprio Giulio Ballio è stato intervistato da Daniela Uva su ''il Giornale'' per conoscere il motivo per cui il Politecnico riesce a risparmiare. Ballio duce che la ricetta è banale: meno personale, quello strettamente necessario, e più lavoro. Marco Gemelli invece ha chiesto a Leonardo Casini, prorettore al bilancio di una delle università più spenderecce, vale a dire Firenze. Casini sostiene che il ''prestigio'' del capoluogo toscano è proporzionale ai suoi stipendi. Inoltre l'ateneo fiorentino ha una quota di docenti tra i più anziani d'Italia, che vuol dire con stipendi più elevati. Inoltre la quota di tali docenti è aumentata del 7 per cento nell'ultimo anno. Inoltre a Firenze molti professori ottengono più facilmente l'idoneità per passare di categoria da parte di una commissione nazionale, grazie al prestigio dell'ateneo. Francesco Cavalla, docente di filosofia del diritto a Padova, sempre su ''il Giornale'' individua gli sprechi in altri settori e non negli stipendi. Cavalla dice che dal sessantotto è nato un malinteso senso di egualitarismo, per cui tutti gli studenti con qualsiasi tipo di diploma di scuola media superiore vengono ammessi a qualsiasi facoltà (la Riforma Gentile invece aveva stabilito regole molto più rigide per l'accesso agli studi superiori) e allora, con l'aumento di studenti, ecco l'aumento di aule, di corsi, di insegnamenti, la costruzione di nuove sedi.....ed ecco tanti fondi che se ne vanno. Io correggerei Cavalla su un punto. Il danno sessantottino c'è, ma è, secondo me, da individuare soprattutto nel fatto che alle medie superiori non si boccia più. La bocciatura deve essere intesa non come punzione, ma come indicazione che forse quella ''non è la tua strada'' e un avviso prima che sia troppo tardi. Andare a lavorare manualmente non deve essere interpretato come qualcosa di umiliante, è anch'esso un servizio indispensabile alla comunità. Non si può essere tutti dottori, non è giusto e neppure auspicabile. Quindi indicando ai ragazzi meno portati altre strade da subito si evita di spendere più soldi in aule. Inoltre Cavalla lamenta che al professore cattedratico venga lasciato materialmente poco spazio all'autentica ricerca scientifica e venga sempre più coinvolto in attività organizzative quali la gestione dei fondi, i convegni, l'intrattenimento o le attività ricreative, con una moltiplicazioni di consigli di Facoltà, di Dipartimento, di Corso di Laurea e chi più ne ha più ne metta. Cavalla ricorda con nostalgia quando l'Università era l'Università, dove dei discenti arrivavano per avere un titolo di studio superiore, e i docenti di cattedra erano dei veri produttori di sapere. I docenti universitari dovevano innanzitutto produrre sapere, mentre oggi non è più così. Però. come dice ancora Cavalla ai professori ''stipendio magro ma prestigio tanto''. E qui sembra che si rtorni a toccare la questione pecunia, e qualcosa dice che effettivamente nell'attuale sistema universitari qualcosa non va proprio a causa degli stipendi. Sicuramente sarebbe un'ottima cosa se i docenti tornassero a fare i docenti, i discenti arrivassero a bussare alle porte dell'ateneo dopo una selezione nelle scuole e che si spendesse di meno e i bilanci potessero quadrare. Purtroppo però per la maggior parte degli atenei non è così. Comunque l'università meglio gestito d'Italia non è in una grande città. A sorpresa è l'università di Catanzaro a detenere il record dell'ateneo più virtuoso d'Italia, con solo il 43,7 per cento di spesa per le buste paga. Come il Politecnico ambrosiano avrà arruolato personale per lo stretto indispensabile e forse, a differenza di Firenze, nom sarà un ateneo ''utile'' per ottenere punteggi. Ma forse è proprio questo essere apparentemente una cenerentola che può aver giovato alle sue casse.

Nessun commento:

Posta un commento