martedì 21 ottobre 2008

Le falsità dei sindacati e della sinistra sulla scuola

Non se ne può più delle falsità dei sindacati e della sinistra sulla scuola

di Giorgio Israel 5 Ottobre 2008 per loccidentale.it
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Ogni tentativo di suscitare una discussione razionale sui provvedimenti del ministro Gelmini e, in particolare, sulla reintroduzione del maestro unico nelle scuole primarie, è stato vano. Orecchie da mercante. I sindacati della scuola, con la Cgil in testa, e il Partito Democratico, con Veltroni e Garavaglia in testa, hanno deciso di pronunciare come dischi rotti un solo slogan menzognero: «La scuola elementare italiana è una delle migliori del mondo ed è il fiore all’occhiello del sistema italiano dell’istruzione. Perché si vuole distruggerla?». Memori dell’aureo precetto “ripeti mille volte la stessa bugia e diventerà una verità” hanno distribuito la velina dappertutto e tutti ripetono lo slogan come ossessi. Lo ha fatto in televisione, con le stesse identiche parole, anche Epifani, noto esperto di didattica delle scuole primarie.

Chi ha tentato di addurre argomenti e di spiegare perché la scelta del maestro unico è pedagogicamente e didatticamente corretta, e non risponde soltanto a criteri di economia, si è visto opporre un muro di silenzio. La controprova è che quando non si è potuto far finta di niente – di fronte a un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, che spiegava come la scelta del maestro multiplo non avesse avuto alcun senso se non quello di usare la scuola come ammortizzatore sociale in mano ai sindacati – la risposta del ministro-ombra Garavaglia è stata una serie di balbettamenti-ombra, privi di qualsiasi consistenza. L’unico tentativo di difesa si è avuto da parte di alcuni pedagogisti che, dopo aver rifilato – in omaggio al precetto di cui sopra – la balla che in tutti i paesi moderni esiste un sistema di presenze multiple di maestri si sono chiesti come mai farà il maestro unico a insegnare la lingua italiana, la matematica, le scienze, la geografia, la salute, le norme sul traffico, la ginnastica e le tante altre materie del genere disegno, ballo, canto, ceramica, ecc.

Ingenui o falsi ingenui? Intanto, le norme sul traffico dovrebbe essere in grado di insegnarle chiunque possieda una patente automobilistica… o c’è bisogno di un maestro apposito anche per questo? Il termine “insegnare la salute” non merita commenti. E, soprattutto, quel che è tragicomico è che, dopo aver spezzettato la scuola elementare in una miriade di attività, materie e pseudomaterie, mettendo tutto sullo stesso piano, si venga a dire che non si può fare a meno di molti maestri… Cominciamo a spazzare via il ciarpame e guardare all’essenziale delle conoscenze e poi vedremo chiaro. Ma, in fin dei conti, discutere è come lavare la testa all’asino: si perde il ranno e il sapone. Infatti, è ormai chiaro che l’osso della questione è quello sollevato da Panebianco.

I sindacati e la sinistra non possono tollerare che la scuola – ovvero il territorio da loro considerato da un trentennio come proprietà privata e pascolo esclusivo – venga gestita senza il loro consenso, anzi che si muova una sola paglia senza il loro consenso. Pertanto, la dichiarazione di Bonanni secondo cui la scuola non è un’azienda con un amministratore delegato, bensì è di tutti, è vera: a patto di dire che finora la scuola è stata un’azienda amministrata dai sindacati e che il problema è che finalmente si sta affermando il principio che è di tutti, ovvero che chi la gestisce è il governo e il Parlamento. Perciò se lorsignori sono democratici farebbero bene a fare tre passi indietro e a non impicciarsi di maestri unici o multipli, di dottrine pedagogiche, e lasciare alle istituzioni preposte di occuparsene. Ma è chiaro che di passi indietro non ne faranno neppure mezzo, e quindi quella che si profila è una grande battaglia di democrazia. Se essa si concluderà con un cedimento e con la riaffermazione del potere sindacale di decidere come gestire la scuola persino sul piano dei contenuti didattici, possiamo dire un addio definitivo al sistema dell’istruzione in Italia.

In questo clima, appare sommamente squallida la scelta dei dirigenti del Partito Democratico di accodarsi supinamente alle agitazioni sindacali. Che cosa resta di riformismo in chi adotta le parole d’ordine del peggior sindacalismo autonomo, parlando di «attacco a decine di migliaia di precari che in questi anni hanno permesso il funzionamento dei servizi pubblici e della Pubblica Amministrazione», di «licenziamento di massa dagli immensi costi sociali» e ritorna sulle sciagurate parole d’ordine della «stabilizzazione» dei precari e della «garanzia da parte dello Stato delle necessarie risorse» per assumerli in via definitiva? Tali difatti sono le parole d’ordine con cui il Pd chiama alla mobilitazione dei precari della PA e, in particolare, della scuola. Mentre nella scuola stessa circolano documenti su cui si raccolgono firme in modo intimidatorio e mettendo in giro voci terroristiche: per esempio che l’anno prossimo migliaia di insegnanti “in mobilità” saranno messi a lavorare nei ministeri o negli uffici postali…

Tanto più va apprezzato chi ha assunto un atteggiamento razionale, affrontando la discussione sulle riforme del ministro Gelmini in modo pacato e argomentato. Tale è il caso dell’ex-ministro dell’istruzione Berlinguer, come è stato riconosciuto da più parti: l’onestà intellettuale è sempre qualcosa di fronte a cui bisogna inchinarsi.

Un dibattito autentico richiede tuttavia la chiarezza e, proprio perché la pacatezza lo rende possibile, non deve lasciare zone d’ombra. Nessuna persona seria può richiedere la pratica di stile sovietico dell’autocritica, ma Berlinguer è stato un protagonista troppo di rilievo delle riforme dell’istruzione in Italia perché non sia necessaria la chiarezza circa i passaggi cruciali di cui è stato protagonista e il suo pensiero attuale in merito.

Ad esempio, è chiaro che Berlinguer è stato uno dei pochi a sfidare il potere sindacale cercando di introdurre forme di valutazione degli insegnanti. Occorre però chiedersi se le procedure da lui scelte fossero le più adeguate e se egli non sia stato proprio vittima dell’esercito di docimologi di cui era circondato, buoni a escogitare ogni sistema di valutazione balzano salvo quelli ragionevoli, come il sistema di ispezioni compiute da un organismo competente del genere dell’Ofsted inglese. Oggi l’ex-ministro Berlinguer guarda con occhio indulgente alla reintroduzione del voto in condotta, dei voti in pagella e delle verifiche annuali dei debiti formativi. Dobbiamo dedurne che egli ha ripensato criticamente i suoi provvedimenti che resero praticamente impossibili le bocciature e alla sua visione della disciplina scolastica, considerata come un orpello reazionario e che si è espressa nella Carta dei diritti delle studentesse e degli studenti, quintessenza dell’antiautoritarismo sessantottino. Circa l’università, ricordiamo un momento felice in cui sembrò che Berlinguer stesse per adottare la proposta di Umberto Eco ed altri di eliminare i concorsi a favore di liste nazionali di idonei entro cui le università potevano effettuare chiamate. Fu un momento di breve durata perché egli cedette alle pressioni delle baronie accademiche introducendo un sistema concorsuale locale che, se ha permesso a qualche proscritto dalle dette baronie di sfuggire alle loro reti, ha sfasciato il sistema producendo un immenso ope legis di fatto.

Analogamente ci sembra che non fosse di Berlinguer l’idea di introdurre l’idea della laurea triennale e specialistica (il famoso 3 + 2). I suoi fautori la vantarono al grido di “l’Europa ce lo chiede”. Un grido menzognero, come quello attuale a favore del maestro multiplo, perché ancor oggi molti paesi europei si rifiutano di introdurre la laurea triennale. Fu una scelta disgraziata che ha ridotto l’università a un colabrodo, producendo una miriade di lauree tanto inutili e dequalificate e che, accoppiata al sistema dei crediti, ha condotto alla istituzione di 180.000 insegnamenti – tanti sono quelli oggi impartiti in Italia – spesso dotati di pochi crediti, in alcuni casi limite di meno di un credito. Forse Berlinguer non voleva questo, ma non sarebbe stato meglio opporsi aspramente fino alla denuncia pubblica e alle dimissioni piuttosto che mettere la firma sotto le macerie dell’università italiana?

Non ricordiamo neppure un ripensamento rispetto all’introduzione del maestro multiplo: non sarebbe stato più facile allora porre rimedio a una scelta tanto avventata? Ma forse quel che più ci inquieta è il ricordo della scelta caratteristica del periodo berlingueriano: quella di mettere in mano il sistema dell’istruzione a un manipolo di pedagogisti di stato che l’hanno plasmato sulla base dei principi dell’autoapprendimento e del precetto “meglio una testa ben fatta che una testa piena”, ovvero dello smantellamento sistematico dell’istruzione basata sulle conoscenze a favore dell’apprendimento basato sulla metodologia.

È in proposito che proviamo il massimo disagio, soprattutto quando vediamo che Berlinguer assortisce la sua indulgenza nei confronti degli attuali provvedimenti con una riproposizione alla lettera di quella ideologia. L’affermazione che la scuola gentiliana è ormai fuori dai tempi è fin troppo ovvia e condivisibile per non essere insufficiente a caratterizzare quel che si vuole. Essa non implica che si debba continuare sulla via di un modello fallimentare – di cui la scuola elementare rappresenta l’emblematica e disastrosa realizzazione – che gran parte dei paesi avanzati sta rivedendo criticamente, mentre altri paesi del terzo mondo iniziano a sopravanzarci proprio perché non si sognano di adottare quel metodo e seguono la via da noi abbandonata. Se si vuole avere spirito critico bisogna averlo fino in fondo e non è una vergogna rivedere le scelte passate. Ma che senso ha riproporre il modello dell’autoformazione quando sempre più persone si mettono le mani nei capelli constatando i disastri cui esso ha condotto? Che senso ha riproporre le cure degli stessi medici che hanno provocato nel malato una febbre da cavallo?

Del resto, il fronte che ci troviamo oggi davanti salda significativamente quei pedagogisti di cui sopra con il potere sindacale e parte della sinistra, tutti uniti nel difendere quell’ideologia. Pertanto, sia benvenuta la discussione civile e razionale nella chiarezza. L’ultima cosa al mondo di cui c’è bisogno è il gattopardismo, ovvero far mostra di cambiare tutto per non cambiare nulla.

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