lunedì 27 ottobre 2008

Domande e risposte sull'università

Le proteste di questi giorni rappresentano uno dei più grandi movimenti studenteschi di mobilitazione da 30 anni a questa parte, movimenti autonomi e non legati a partiti politici o interessi sindacali. Per quale motivo il Governo non ha avuto alcun dialogo e non ha alcuna intenzione di iniziarlo? Per la verità, seppure onestamente in ritardo, la Ministro Gelmini ha convocato gli studenti, ma le associazioni studentesche di sinistra hanno annunciato di sedersi al tavolo soltanto se il Governo avesse ritirato le sue norme. Tutta questa storia appare come il muto (Governo) che vuole parlare ad un sordo (studenti). Sul fatto che sia un grande movimento ho tuttavia qualche perplessità: qualche migliaio di ragazzi rappresentano una parte notevole perché trasversale nella Penisola ma assolutamente minoritaria rispetto al totale degli studenti universitari. Se poi 20 giornalisti seguono la protesta di 30 studenti mentre non scrivono una parola sui restanti 9000 iscritti regolarmente a lezione, la stortura mediatica appare in tutta evidenza. Sarebbe inoltre opportuno capire come mai oggi si assiste in televisione a questa "grandiosa" protesta, con tanto di occupazioni, marce e manifestazioni più o meno giornaliere, e nulla di tutto ciò si è visto negli anni di governo del centrosinistra: chi ha occupato quando Padoa-Schioppa cancellava 87 milioni di euro dalla ricerca per darli agli autotrasportatori? Chi ha occupato quando il Governo Prodi II esordì con un taglio di 200 milioni di euro? Come si fa a negare allora che la protesta non abbia alla base alcuna impostazione ideologica, ma sia autonoma? Autonoma rispetto a cosa? Non si è autonomi rispetto ad alcuno se poi si pensa con la sua testa...

Veniamo al dunque: va bene che il Ministro Tremonti si impegni a far quadrare i conti pubblici, ma l'università e la ricerca non sono un costo da tagliare. Noi studenti non vogliamo pagare la crisi dei politici. In un momento di recessione economica internazionale, il primo compito di un Governo è far quadrare i conti pubblici: in un Paese come l'Italia, che "vanta" il terzo debito pubblico del mondo, con un rapporto deficit/PIL del 103%, tale imperativo non solo si fa pressante ma addirittura categorico, e questo indipendentemente dal fatto che la UE ci costringa (tramite un accordo sottoscritto dal Governo Prodi II) a rientrare sotto il 100% entro il 2011. Gli studenti stanno già pagando la crisi internazionale nel momento stesso in cui essa si riversa sulle famiglie e sulla società. Contenerne gli effetti sull'economia reale sarà il compito difficile della politica. I tagli all'università diventano necessari nel momento stesso in cui i bilanci di queste istituzioni sono, come da tutti riconosciuto, finiti fuori controllo: sforbiciare è possibile, e se soltanto si scorresse la lista degli sprechi portati avanti in questi anni ogni studente si accorgerebbe di quanto male amministrata sia l'università e del perché il problema non sono i finanziamenti ma semmai l'esatto contrario, cioè i troppi finanziamenti che hanno messo a disposizione masse di soldi utilizzate per fini clientelari, per regalare posti di lavoro a parenti ed amici, per affittare appartamenti su Piazza del Campo a Siena per vedere il Palio, oppure per acquistare un terreno destinato a fini agrituristici in quel di Firenze, milioni di euro che potevano essere tranquillamente reinvestiti in progetti di ricerca.

Sia come sia, il 10% dei tagli rischia di bloccare la didattica, di far chiudere i laboratori. Quali sono le finalità che inducono il Governo a correre questo rischio? Innanzitutto, dati alla mano, la riduzione dei finanziamenti è del 3%. Evidentemente non bazzecole, ma se un taglio del 3% porta alla chiusura delle università italiane significa che queste sono state amministrate così male che gli studenti invece di protestare contro il Governo dovrebbero chiedere a gran voce le dimissioni dei Rettori e dei baroni incompetenti che hanno portato allo sfascio il mondo universitario. Invece, si nota una strana quanto perversa unione tra queste due categorie, una unione che sfida la logica razionale di ogni essere umano dotato di minimale buon senso.

Come la mettiamo con il fatto che i tagli sono a pioggia? Se volete premiare la meritocrazia, perché tagliate allo stesso modo ai virtuosi ed agli incompetenti? Allo stato attuale, essendosi ancora in regime di finanziaria 2008, non vi è stato alcun taglio ai fondi per l'università. Dunque, il fatto che i rettori virtuosi ed altri si lamentino di ciò, è destituito di fondamento, nel senso che la Ministro Gelmini ha pubblicamente dichiarato, in una intervista in giugno a Repubblica (che è sì un giornale di regime, ma contrario all'attuale Governo), che si dovranno cercare misure idonee a ripartire i tagli del 2009 e soprattutto si stanno cercando dei soldi per creare un Fondo di Finanziamento Straordinario che limiti le perdite per gli atenei migliori.

Passiamo alla riforma Gelmini: con essa si vuole distruggere l'università italiana. Andiamo con ordine: non esiste alcuna "riforma Gelmini" ed oltre a ciò il DL 137/2008 non prevede nulla che riguardi l'istruzione terziaria. Le poche norme che la riguardano sono incluse nelle tabelle allegate alla legge 133/2008 che costituisce il documento di programmazione economica e finanziaria dell'attuale Governo: si tratta di due articoli, il 16 ed il 66, intesi a regolare la trasformazione delle università in fondazioni private ed il blocco del turn-over al 20% fino al 2012. Soltanto un articolo del decreto Gelmini riguarda le SSIS, cioè lo sblocco dell'entrata in graduatoria del IX° ciclo, precluso dal Governo Prodi II nonostante l'apertura del ciclo stesso: si vuole quindi riparare ad una vergogna giuridica prodotta dalla sinistra nel più assoluto silenzio.

Ecco, proprio l'art. 16! Il Governo vuole cancellare l'università pubblica: la ricerca sarà in mano a privati senza scrupoli che la indirizzeranno dove crederanno più opportuno, aumenteranno le tasse a dismisura e quelle università che non avranno la capacità di trasformarsi dovranno chiudere. Un bell'esempio di scuola per ricchi insomma... Insomma, la legge va letta e va interpretata per quello che c'è scritto sopra, non per pura ideologia di parte e per fare terrorismo culturale. È necessario anche qui andare con ordine: la possibilità di trasformarsi in fondazioni di diritto privato è già attualmente regolata dal decreto 254/2001 licenziato dal Governo D'Alema (e confermata dal Decreto Bersani del 2006). Le fondazioni di diritto privato hanno particolari agevolazioni sul regime fiscale, in pratica pagano meno tasse sui soldi incassati: già oggi alcune università hanno fatto questo passaggio, alcune molto note quali l'Ateneo Alma Mater di Bologna o la IULM di Milano (che era già privata) o ancora il Politecnico di Milano. Il caso della IULM ci aiuta a fare chiarezza su un punto: università privata e fondazioni di diritto privato non sono la stessa cosa. Va chiarito a gran voce inoltre che la trasformazione di una università in fondazione non equivale in alcun modo alla vendita: è FALSO che le università verranno vendute a privati che ne potranno fare quel che vogliono, sia perché nessun privato al mondo può mettere in campo i capitali necessari a comprare un ateneo (che sul mercato verrebbe quotato a parecchi miliardi di euro), sia perché si parla esplicitamente di "trasformazione", la cui decisione è in capo al Senato accademico all'unanimità, la decisione andrà approvata dal Ministero delle Finanze di concerto con quello della Pubblica Istruzione che dovrà poi emanare il decreto, i quali continueranno a svolgere un ruolo di vigilanza (comma 10), e la contabilità sarà comunque controllata dalla Corte dei Conti (comma 11). Le fondazioni inoltre non potranno perseguite fini di lucro e non potranno in alcun modo gestire i dividendi se non a favore della struttura stessa. Oltre a tutto ciò, alle fondazioni si continueranno ad applicare le regole delle università statali (comma 14). Si tratta in ogni caso di una legge che in mancanza di regolamenti attuativi non potrà essere portata a termine: è per questo motivo che si attende l'approvazione di un disegno di legge specifico in tal senso e largo consenso si sta avendo, trasversalmente in parlamento, sul disegno del senatore Rossi (PD). Per quanto riguarda le tasse versate dagli studenti, detto che alle fondazioni si applicano le norme statali, esse continueranno ad avere un limite per legge del 20% rispetto al finanziamento ordinario annuale (regolamento 305/1997) e non vi potrà essere dunque nessun aumento indiscriminato: le università che dovessero aumentare le rette studentesche sono quelle che ancora non hanno raggiunto questo limite. Le università che non dovessero avere le forze per trasformarsi (che è una facoltà e non un obbligo) continueranno a giovarsi dei fondi statali (comma 9): anzi, siccome i finanziamenti privati concorrono alla valutazione della perequazione, è anche possibile che alcune di queste università arrivino ad incassare più soldi pubblici.

Il turn-over bloccato al 20% destabilizzerà la didattica, aumenterà il precariato, eviterà l'assunzione di giovani ricercatori e impedirà loro di evolvere nella carriera. Così si distrugge l'intero sistema! Negli ultimi anni, i corsi universitari sono più che raddoppiati, raggiungendo quota 5500 a fronte di una media europea che viaggia intorno ai 3000. Questo significa che nonostante i tagli del FFO effettuati dai Governi degli ultimi anni, rettori e presidi hanno preferito utilizzare i soldi per moltiplicare le cattedre piuttosto che finanziarie le ricerche: è stata dunque una libera scelta di chi governa le università e non certo di chi governa il Paese. È anzi probabile che se il Ministero avesse elargito più fondi, essi sarebbero stati utilizzati per moltiplicare ancora più intensamente i posti di potere accademico. Una scorsa ai dati può essere utile: negli ultimi anni sono stati banditi posti per 13.000 professori, ma dichiarati idonei in 26.000, uno scherzetto che è costato all'erario 300 milioni di euro in barba alle leggi vigenti. Il rapporto docenti/studenti è tra i più alti del mondo, 1:9 normalizzando i dati a disposizione, più alto dunque rispetto a quello della Gran Bretagna, fermo a 10,4. Questa moltiplicazione ha alimentato le diseguaglianze: premiando l'anzianità invece che il merito, un docente ordinario a fine carriera può arrivare ad un rapporto rispetto al giovane ricercatore di ben 4,5 a 1. Inoltre, lo stipendio tipico di un ordinario è superiore anche del 95% rispetto allo stipendio di un collega americano di livello master, e questo indipendentemente dalla sua produzione scientifica, in quanto gli scatti di stipendio sono in funzione esclusiva dell'anzianità di servizio. La moltiplicazione delle cattedre e delle sedi ha inoltre fatto lievitare a dismisura il costo per alunno frequentante a tempo pieno, portandolo a 16.000$, cioè il quarto più alto del mondo: se si riuscisse a risparmiare anche solo 1000$ le università libererebbero fondi per almeno 500-600 milioni di euro, cioè una quota di gran lunga superiore a quella prevista dal taglio del Ministro Tremonti per i prossimi anni. C'è infine da dire che non viene preclusa alcuna carriera accademica: il blocco del turn-over funzionale alla stabilizzazione del numero dei docenti che negli ultimi anni è aumentato del 25% a fronte dell'aumento dell'8% del numero di studenti si attuerà soltanto fino al 2012.

Tutta questa storia porterà comunque ad allargare la forbice tra nord e sud del Paese! La favoletta che ogni legge del centrodestra penalizzi il sud a favore del nord è oramai stata smascherata da molti anni, ed infatti non ci crede più nessuno, né al sud né al nord. Le università del sud hanno centri di eccellenza a livello nazionale importanti: solo che sono dominate da baroni che applicano regole clientelari, per cui è facile incontrare all'interno della stessa facoltà fino al 50% di docenti con lo stesso cognome oppure regolati da vincoli di parentela di I° grado. Non sarà dando più soldi all'università che si eviterà questo sconcio, perché più soldi significherà soltanto più figli di baroni in cattedra. Per la verità, l'unico modo di cancellare questo schifo è mettere mano seriamente all'università italiana, modulando in modo diverso i finanziamenti (ad esempio collegando parte degli stessi a specifici ricercatori), tenendo conto di meriti acquisiti sul campo (valutabile tramite la bibliometria, metodo incompleto ma attualmente l'unico disponibile e valido indistintamente per tutto il mondo), e premiando innanzitutto quegli atenei che negli ultimi anni non hanno sperperato i loro fondi nella moltiplicazione evangelica delle cattedre. Le università del sud non potranno che avvantaggiarsi di questo sistema, perché se si applicano criteri internazionali nella valutazione delle università (e non soltanto criteri concorsistici di dubbia validità e meriti di anzianità e non di produzione), esse potranno partire alla pari con le grandi università del Paese, impostare progetti di ricerca ed attirare fondi sia statali che privati reclutando così ricercatori stimati a livello internazionale che faranno salire, in un circolo vizioso positivo, il livello dell'ateneo.

In ogni caso, così facendo si favoriscono i ricchi e non i poveri. Basta leggere i dati per scoprire che oggi, anzi da molti anni, l'università egalitaria è un mito puro e semplice: le statistiche internazionali infatti ci dicono che il sistema italiano è fatto in modo che le tasse dei poveri finanziano l'università gratuita per i ricchi: infatti, soltanto l'8% del quintile più povero del Paese accede all'università, contro il 13% degli USA; di rimando, ben il 24% del quintile più ricco del Paese vi entra. È significativo constatare come nell'ideologia di sinistra venga additato come sistema elitario quello statunitense e come sistema egalitario quello italiano, laddove ogni misurazione in tal senso dimostra il contrario. Inoltre, negli USA il merito è premiato davvero e sul serio, non come in Italia, cosa che permette una mobilità sociale che invece nel Bel Paese è limitata da tanti anni. Invece di rincorrere il mito dell'università gratuita, si rincorra la realtà dell'università meritocratica, dove chi vi insegna ha acquisito il diritto di farlo per competenze e non per nome, dove chi vi studia va avanti perché se lo merita e non perché il papà può pagare la retta anche se il figlio poltrisce e basta. L'attuale sistema, iniquo ed inefficiente, potrebbe essere facilmente superato con l'introduzione del concetto che il capitale umano va pagato, e chi non può permetterselo accede a borse di studio e prestiti mirati: lo Stato così risparmia soldi, li reinveste nelle università stesse innalzando il livello di istruzione e di ricerca e gli studenti meritevoli. L'aumento delle tasse universitarie non è il diavolo: gli atenei sarebbero costretti ad offrire servizi eccellenti onde evitare di perdere studenti (e quindi soldi), e più il servizio è eccellente più studenti vi si iscriveranno. I soldi incassati dalle tasse di chi può permetterselo serviranno ad istituire un fondo a favore dei meno abbienti, attraverso un sistema complicato da spiegare in poche righe ma splendidamente espresso dal prof. Perotti nel libro spesso citato in questo blog. Lo Stato garantirebbe con i soldi risparmiati anche quella mobilità sociale che è garanzia primaria di questa rivoluzione: se uno studente è costretto a rimanere nell'università più vicina perché non vi sono alloggi nell'univeristà prescelta, il sistema non funziona. In poche parole, cambiare sistema per cambiare l'università italiana, ma questo non è il compito di una finanziaria dello Stato ma di una profonda riforma del ministero competente: per ora sul tavolo non c'è nulla, quindi le obiezioni in tal senso andranno espresse quando nell'arco dei prossimi mesi la Ministro Gelmini presenterà un disegno di legge in tal senso.

8 commenti:

  1. I PRIMI FRA GLI ULTIMI
    Al di là di ogni chiacchiera televisiva, in cui i nostri politici "sparano" le cifre di una spesa "fuori controllo" per l'istruzione in Italia,ecco i dati comparativi OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)su quanto gli Stati spendono in istruzione
    Rapporto spesa per l'istruzione sul PIL %
    Italia 4,4
    Francia 5,7
    Portogallo 5,4
    Norvegia 7,0
    Polonia 5,5
    Media OCSE 5,4
    Con il taglio di 8 miliardi di Euro previsto dalla manovra finanziaria la percentuale verrà ridotta al 3,9, misura che ci collocherà al penultimo posto nella graduatoria OCSE.

    Rapporto spesa per l'istruzione su spesa pubblica % Italia 9,3
    Spagna 11,1
    Irlanda 14,0
    Messico 23,4
    Corea 15,3
    Nuova Zelanda 19,4
    Stati Uniti 13,7
    Repubblica Slovacca 19,5
    Media OCSE 13,2
    In questo caso'Italia già si colloca all'ultimo posto nella graduatoria generale.
    Gli stessi dati sono forniti dal Ministero dell'Istruzione.
    CHE DIRE SE UN MINISTRO CONTRADDICE I DATI FORNITI DAL SUO STESSO MINISTERO?

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  2. Si parla di università, non vedo cosa c'entri l'istruzione, cmq è facile rispondere (sarebbero graditi link quando si citano questi dati, non perché io non conosca le fonti ma perché magari altri lettori non le sanno cercare).

    Innanzitutto, come dice Luca Ricolfi sulla Stampa (uomo di sinistra su un giornale di sinistra), i tagli effettivi alla scuola sono di 3,6 miliardi spalmati su tre anni:
    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5043&ID_sezione=&sezione

    Ricolfi è persona stimabile e stimata, e non è mai facile smentire i suoi dati.

    Altri dati. Tabella 1.1.1 de "La scuola in cifre 2007", pubblicazione del Ministero, spesa pubblica per studente nella scuola primaria:
    ITALIA 26,6
    Regno Unito 18,4
    Francia 18,2
    Germania 16,4
    Media UE 21,7

    Anche nella scuola secondaria siamo abbondantemente oltre la media UE (28,3 su 26,5).

    «Nel bilancio del MPI il 90% delle spese correnti è rappresentato da redditi da lavoro» (p. 4).

    Al contempo, la spesa delle famiglie è tra le più basse d'Europa:
    Regno Unito 13,4
    Giappone 7,7
    Francia 5,9
    Italia 3,9

    Detto questo, la fonte da te citata e ripresa da un blog, deriva dalla pubblicazione OCSE "Education at a Glance 2008". Relativamente al settore universitario, il libro del prof. Perotti ha messo in luce un errore nelle statistiche (d'altronde leggere che il Messico spende quasi il doppio degli USA dovrebbe far ragionare un poco sulla validità di tali dati): laddove si dice che l'Italia spende 7723$, si deve dire invece 16027$, la quarta spesa al mondo per studente universitario a tempo pieno.
    È anche interessante notare che la spesa italiana (nonostante, ripeto, nutra qualche riserva sulla qualità dei dati OCSE) non è drammaticamente inferiore a quella di alcuni grandi Paesi:
    Italia 9,3
    Germania 9,7
    Francia 10,6
    Giappone 9,5

    Da ciò si evince chiaramente che l'Italia è il Paese a livello internazionale che per i suoi studenti spende di più al mondo. La qualità tuttavia è in costante decremento: si aumenta la qualità diminuendo il numero degli insegnanti? No di certo se non si fanno riforme espressamente rivolte in tal senso. D'altronde il contrario si è rivelato controproducente, ergo per cui è inutile continuare su questa strada.

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  3. Volevo chiedere sul discorso tasse universitarie...tutti sparano dati assurdi dicendo che se una universita magari piccola diventa fondazione succede che le rette arriveranno a 9000 euro l anno.....qnd mi dici come veramente stan le cose? in merito al blocco poi di quel 20% di tetto massimo....inoltre sempre discorso fondazioni....c'è un discorso (che pur concordando tanto con la gelmini) non mi torna ..ovvero se organismi o enti privati finanziano una universita dopo possono intervenire sulla didattica?? ovvero se tipo una azienda farmaceutica finanzia medicina dopo magari vuole in cambio che pero si facciano solo o quasi ricerche sui loro prodotti??? puo succedere?? ci sono dei blocchi a cio???

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  4. Per quanto concerne un commento di un post, tento di rispondere in maniera veloce:

    1) questione tasse universitarie: il comma 14 ricorda che alle fondazioni si applicano "tutte" le leggi statali vigenti per l'università. Una di esse impone il tetto massimo del 20% alle rette studentesche (decreto 1997). Inoltre la trasformazione in fondazioni è una possibilità, non un obbligo, quindi potrebbe anche rimanere irrealizzato.

    2) cosa intendo per "blocco di quel 20% di tetto massimo"? Non so se ti riferisci al turn over oppure al tetto delle rette studentesche di cui ho già parlato.

    3) possono intervenire nella didattica: didattica sono i corsi insegnati, lo reputo estremamente difficile, se non impossibile. Orientare la ricerca: possibile, ma i fondi non sono a progetto. Come ricorda il comma 4, le università sono non-profit, non possono distribuire utili e/o dividendi, e non possono perseguire scopi commerciali. Inoltre le ricerche che accedono al fondo Prin sono valutate da una commissione nazionale che non ha alcun rapporto con università o aziende di varia natura. Ovviamente non posso dirti che è escluso a priori, ma in un sistema meritocratico le ricerche a comando non si fanno se non convengono a livello istituzionale e internazionale a livello di pubblicazioni. È per questo che nel sistema attuale nessuna azienda privata investirebbe nel sistema universitario considerando come funziona quest'ultimo.

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  5. ok grazie mille....ma quel tetto massimo del 20% è del 20% rispetto a cosa??.....Inoltre so che nn centra col post..pero ieri da me c'è stata un'assemblea (in cui tt eran stra disinformati dicendo di sapere) e dicevano che qui a verona da me in una scuola o in generale ora vengono licenziati a novembre 1200 posti.....io leggendo tutti i tuoi interventi e altri siti da qnt ho letto so che il dato di 87.000 nn centra nulla con licenziamenti o che ma riguarda solo il blocco di assunzioni giusto??? quindi una cosa come quella che ho citato è impossibile che sia per la gelmini? (o cmq per i 20.000 posti gia previsti da prodi per il 2008) o ci sono anche se poche persone che verranno anche licenziate?

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  6. Inoltre discorso Turn-over io non appartengo (ancora per poco) al mondo universitario e quindi di tante cose sto capendo solo in questi giorni come funzionano e come girano...però leggendo di questo famoso Turn-over e ponendomi dalla parte di giovani ricercatore è sicuramente una grossa limitazione (pur trovando mille attenuanti e giustificando in parte questo punto) per loro che gia perche giovani e inesperti trovano difficile entrare nel mondo universitario con tt il potere in mano ai vecchi..figuriamoci ora con questo blocco ...tu che parere mi dai oltre le cose che ho letto in questo post sul discorso????

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  7. Allora il 20% del tetto massimo è rispetto al Fondo di Finanziamento Ordinario. Quindi non solo non aumenteranno ma ti dirò di più: paradossalmente, diminuendo i fondi trasferiti diminuiranno anche le tasse.

    Riguardo il riordino degli insegnanti: in effetti nel post sulla scuola c'è la risposta, quindi mi limito solo a dire che nella P.A. non esiste il concetto di licenziamento (se non per frode allo Stato et similia) ma soltanto quello di blocco del turn-over (ergo mancata assunzione).

    Il problema del turn-over universitario purtroppo è reale, sia in un senso che nell'altro: negli ultimi anni, il corpo docente è cresciuto del 25% mentre quello studentesco appena dell'8%. Il rapporto tra docenti ordinari-associati e ricercatori è sproporzionatamente a favore dei primi (dovrebbe essere il contrario). Si impone quindi un riordino della questione che può passare solo attraverso il blocco del turn-over, che tuttavia (ed è importante dirlo) vale solo fino al 2012. Poi si può anche aggiungere che non tutti i ricercatori hanno il diritto di rimanere dentro l'università (per incompetenze o altro): tuttavia vale sottolineare che finché non ci sarà un disegno di legge specifico sull'università non sarà possibile dire come verrà modulato il turn-over. Ad esempio in questo momento (mentre scrivo non mi risulta bloccato) sono stati banditi 7000 posti di docenza universitaria corrispondenti ad oltre il 10% del corpo docente totale: con le regole attuali non c'è ragione di pensare che verranno applicati criteri meritocratici, e c'è il rischio che ad una intera generazione di studiosi venga interdetto l'accesso al mondo universitario perché già coperto per la maggioranza dei posti da persone raccomandate.
    Dal mio punto di vista il blocco del turn-over non solo serve per alleggerire il peso finanziario legato agli stipendi ma anche ad evitare che continui questo scempio dei concorsi universitari truccati finché non si applicherà quella rivoluzione "meritocratica" che da tutti oggi si reputa necessaria.
    E ti parlo da persona che ieri ha partecipato al concorso per il Dottorato di Ricerca, quindi estremamente interessata ai fatti.

    Ed in tal senso, se i Rettori invece di rompere le scatole perché non gli passano più i soldi per coltivare l'uva, si mettessero intorno al tavolo per discutere del ddl e intanto facessero come ha promesso Frati, il Magnifico della Sapienza: cancellazione dei corsi inutili, blocco dello stipendio per i fannulloni, scatti di stipendio legati alla produzione e non all'anzianità.

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  8. Grazie mille per tutte le tue risposte esaurienti.

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