venerdì 24 ottobre 2008

Falsi Miti: l'Università non ha soldi

Roberto Perotti è probabilmente uno dei più grandi economisti italiani. Professore alla Bocconi di Milano, è membro dei maggiori istituti mondiali di economia, tra i quali il FMI. Da poche settimane è nelle librerie il suo ultimo lavoro, dal titolo L'Università truccata. Gli scandali del malcostume accademico. Le ricette per rilanciare l'università, Ed: Gli struzzi Einaudi, 2008. Il brano che riporto di seguito è tratto alle pagine 35/43. Si rimanda al libro per le note e la bibliografia di accompagnamento e di riferimento per i dati citati. Secondo l'establishment, il vero problema è la mancanza di fondi. [...] La diagnosi dei mali dell'università e la cura che si propone [...], rettori, professori, studenti, politici, commentatori e giornalisti sono d'accordo: l'università italiana soffre di una drammatica carenza di risorse. [...]

Scoprire che l'Italia spende poco più del Messico dovrebbe far nascere più di un dubbio sulla validità dei dati proposti (si riferisce alla pubblicazione OCSE Education at a Glance del 2007, ndr). Una investigazione appena un poco più approfondita infatti rivela che per tutti i paesi eccetto l'Italia queste cifre si riferiscono alla spesa per studente equivalente a tempo pieno. [...] [Se si converte] il numero di studenti iscritti nel numero di studenti equivalenti a tempo pieno, la spesa italiana per studente equivalente a tempo pieno diventa 16027 dollari PPP, la più alta del mondo dopo USA, Svizzera e Svezia. [...] Vediamo il rapporto medio fra studenti e professori: un valore più alto indica che ogni professore deve accudire, in media, più studenti, e dunque suggerisce un carico didattico medio maggiore. [...] Il rapporto studenti/docenti di ruolo in Italia è di circa 33, contro 25 in Gran Bretagna. Tuttavia, come abbiamo visto circa la metà degli studenti italiani sono fuori corso, e molti non frequentano. Se si calcola il rapporto fra studenti equivalenti a tempo pieno e docenti di ruolo, Italia e Gran Bretagna hanno esattamente lo stesso valore, 17,5. Quando poi si considerino non solo i docenti di ruolo, ma anche quelli a contratto ed altro personale docente, quali tutor e collaboratori linguistici, il rapporto tra studenti e docenti diventa più alto in Gran Bretagna, 10,4 contro 9,1 in Italia. [...] In Italia le remunerazioni medie e massime di ricercatori e professori associati sono superiori (rispetto a ruoli equivalenti nell'Univ. di Oxford, ndr). Sono invece inferiori quelle minime, e quasi certamente quelle massime degli ordinari (anche se per la Gran Bretagna su queste ultime non vi sono dati).

Questo ci indica cosa non va nella spesa italiana: non è l'ammontare totale per studente, o la remunerazione media dei docenti, che è insufficiente; è la sua distribuzione e la sua progressione che sono perverse. In Italia si pagano pochissimo i ricercatori appena entrati nell'università, cioè i più giovani e motivati, ma c'è una progressione stipendiale velocissima per effetto della sola età, che porta gli stipendi medi e massimi a essere ben superiori a quelli britannici. Inoltre, in Gran Bretagna c'è la possibilità di retribuire molto le superstar di ciascuna disciplina, il che spiega perché in quel paese sono maggiori gli stipendi massimi degli ordinari. Ancora più evidente (e più sorprendente, data la mitologia sulla povertà della ricerca in Italia) è la differenza con il sistema statunitense. Come mostrano Gagliarducci, Ichino, Peri e Perotti (2005), un ordinario italiano con 25 anni di servizio da ordinario può raggiungere uno stipendio superiore a quello del 95 percento dei professori ordinari americani in università con corsi di master (cioè tra le migliori, inferiori solo a quelle che hanno corsi di dottorato), indipendentemente dalla sua produzione scientifica. Ma mentre nelle università americane il rapporto fra lo stipendio tipico degli ordinari e degli assistenti è di 1,5 a 1, in quelle italiane il rapporto tra lo stipendio a fine carriera di un ordinario e quello di ingresso di un ricercatore può arrivare a raggiungere valori di 4,5 a 1. [...]

Anche i finanziamento statali agli atenei, distribuiti dal Fondo di Finanziamento Ordinario, riflettono quasi esclusivamente i finanziamenti passati, e sono quindi totalmente indipendenti dalla performance. [...] Poiché il ministro Mussi si è rifiutato di utilizzare i risultati della valutazione della ricerca compiuta dal CIUR, a tutt'oggi la qualità della ricerca non figura tra i parametri in base ai quali assegnare fondi statali agli atenei.

NB: tutto questo, manifestanti, sinistrorsi, studenti ideologizzati o semplicemente ignoranti, lo sanno? Sanno cosa stanno difendendo?

Il Governo non può pagare sprechi, baronie ed inefficienze degli Atenei Di Raimondo Cubeddu per loccidentale.it [...] Dai tempi della riforma Berlinguer era chiaro che l'autonomia universitaria avrebbe comportato la possibilità di scegliere se investire risorse nella didattica, nella ricerca o nei servizi. Si trattava quindi di una responsabilizzazione a cui gran parte del mondo accademico ha risposto in maniera sostanzialmente sbagliata (anche se le cosiddette 'valutazioni comparative' su base locale le ha pensate un qualche ministro del passato) sia aumentando le spese del personale con talora immotivate promozioni interne, sia aumentando il numero dei corsi e tenendoli in vita anche se frequentati da pochissimi studenti.

Dopo alcuni anni si scopre così che le spese per il personale hanno raggiunto, e talora superato, il 90% dei bilanci, che molte università hanno accumulato centinaia di milioni di euro di debiti, che alcune di esse non hanno neanche pagato i contributi previdenziali per i propri dipendenti. Che per la ricerca, come per la pulizia dei locali, non ci sono fondi. [...]

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2 commenti:

  1. Perotti vi sta prendendo in giro.

    Il numeri che tira fuori sono privi di senso.
    Guardate le statistiche del ministero, o quelle che trovate nel sito delle vostre università.

    Provate a verificare quale è il rapporto tra i risultati della ricerca italiana e quanto costa.

    Secondo voi ha senso usare il rapporto tra il quintile più ricco e quello più povero della popolazione per fare il confronto tra i laureati di Italia e USA?

    Sveglia ragazzi!

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  2. Quando raggiungerai i livelli ed i titoli di Perotti potrai anche dire che prende in giro. Peccato che i suoi scritti si basano su dati ufficiali e internazionali, e forse sarebbe bene che ti leggessi il suo libro: c'è anche un bel capitolo sui risultati della ricerca italiana, non proprio lusinghieri.

    A tal proposito, tempo fa pubblicai uno studio sugli articoli presenti in riviste come Nature e Science: il corpo docente della Sapienza pubblicava al 5% su 2500 docenti, l'univ. di Harvard pubblicava al 98% su 1200 docenti (periodo di riferimento 1996/2003).

    PS: gli scritti vanno anche capiti. Il quintile non valuta il rapporto tra i laureati, ma il rapporto degli iscritti all'università sulla base del reddito.

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