mercoledì 22 ottobre 2008

I danni di una demagogia di piazza che trascura le vere riforme

Di Giovanni Cominelli per ilsussidiario.net

Il mese di ottobre è attraversato dalle mobilitazioni di migliaia di studenti e di insegnanti. In attesa dei botti finali: la manifestazione veltroniana del 25 ottobre contro il governo, lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre.

A sinistra si favoleggia di un nuovo ’68. “Piacerebbe!”, verrebbe voglia di dire. Dimentichi, i meschini, che le giovani generazioni del ’68 percepivano davanti a sé un futuro utopico, realistica o meno che fosse l’aspettativa.

Nel 2008 il futuro percepito dalle giovani generazioni – e non solo – è distopico, pieno di paure e di incertezze. Dalla distopia storicamente sono sempre nati movimenti di destra. Perciò, parce sepultis.

In ogni caso, in attesa della parusia del nuovo ’68, la fucina ideologica per ora produce solo fumi. Prendiamo i tagli. Solo una demagogia senza confini può sostenere che non sono necessari. Dovrebbero essere intelligenti, questo sì. Ma perché siano intelligenti, occorrerebbe finalmente attuare le riforme istituzionali e ordinamentali già messe sul binario prima da Berlinguer e poi dalla Moratti. Peccato che a suo tempo i due abbiano goduto di analoghi moti di opposizione, in particolare la Moratti. Perciò binario morto. Già Luigi Berlinguer ha fatto notare che l’abolizione dell’ultimo anno delle superiori, didatticamente e pedagogicamente del tutto necessaria, avrebbe prodotto anche un notevole risparmio. Tocca al Ministro e al Ministero renderli intelligenti. Le strade non mancano. È noto, per esempio, che presso parecchie scuole autonome si nascondono “contabilità speciali”, cioè soldi dati dall’Amministrazione alle scuole per bypassare “fastidiose” gare d’appalto. Si tratta di milioni di euro destinati a progetti dalla consistenza culturale incerta e dall’utilità dubbia. Questi “tesoretti” si possono chiudere. Oppure basterebbe vigilare sulle spese per subappalti di cattedre e supplenze in alcune zone del Paese. E per le telefonate a fini di reperimento di supplenti.

L’Amministrazione assorbe un fiume di denaro che si perde in mille rigagnoli nascosti. C’è un modo per eliminarli? Semplificare drasticamente l’apparato ministeriale e puntare sulle autonomie e sulle Fondazioni. Se non si fanno riforme, i tagli orizzontali saranno ottusi. Ma chi convoca o sommuove la piazza contro i tagli è anche contro le riforme. Pretende di bere e fischiare contemporaneamente.

Prendiamo la questione immigrati. Se il fine resta l’integrazione e se la scuola ne costituisce un passaggio strategico, l’inserimento ex-abrupto in una classe di un bambino che non parli l’italiano costituisce per lui un trauma e un peso per gli altri. L’effetto è la dis-integrazione, non l’integrazione. Quale ipocrisia può far sostenere l’opposto? Certamente il governo e/o l’ente locale devono finanziare uno spazio/tempo dedicato di integrazione linguistica, preparando il personale. Le scuole gestiscano in modo autonomo l’impresa integrativa. Meglio sarebbe stato un impegno diretto del governo sul punto, invece che affidare una questione così delicata e così strategica alla mozione di una maggioranza parlamentare composita e attraversata da pulsioni spesso divergenti. Ma un arretramento sotto la pressione della piazza e dei sindacati non aiuterebbe di un millimetro la causa dell’integrazione e neppure quella più modesta della ricerca di un impossibile consenso da parte della piazza e dei sindacati. Anche perché la mobilitazione politica e sindacale, che traina quella degli studenti, non ha altro obbiettivo che quello di abbattere il governo o, forse più realisticamente, di accumulare forze per il futuro o di sostenere un traballante Veltroni alla leadership del Pd.

Il destino della scuola interessa poco. Interessano i voti degli insegnanti e dintorni.

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