venerdì 14 novembre 2008

Prof e ricercatori: ecco i nuovi stipendi

Continua la battaglia per la meritocrazia all'interno del mondo universitario che, vale la pena ricordarlo, essendo la più alta forma di istituzione culturale e formando i dirigenti e gli scienziati di domani, non può essere in mano a personaggi corrotti e/o corruttori. Alcune idee legate alla retribuzione dei docenti saranno inserite nel disegno di legge che la Ministro Gelmini presenterà alle parti in causa nei prossimi giorni.

Dunque, insieme alla riforma del concorsi per l'accesso alla docenza, inevitabile che ci sia anche un ritocco sul modo di retribuire i docenti: inutile affannarsi per far entrare i migliori se poi ridiventano tutti uguali. Allora ecco la soluzione: via gli scatti di anzianità, parte dello stipendio sarà legata al merito ed alla produzione scientifica, valutata da commissioni super partes sulla base di parametri oggettivi.

Quali sono i rischi? Il primo rischio è che la valutazione sia astratta: chi pubblica di più non è migliore di chi pubblica di meno; il criterio bibliometrico tuttavia contiene in sé già parte della risposta, in quanto si presume che un articolo maggiormente citato rispetto ad un altro sia più innovatore: in ogni caso è un problema che può essere corretto in quanto, come detto, se sono le università stesse a dividere i fondi, sapranno bene come valutare al meglio la produzione scientifica. L'altro punto critico è la modalità di ripartizione della quota base: in Europa non c'è una modalità univoca, si va dalla Francia nella quale saranno le università e non più lo Stato a ripartire le quote sulla base del valore accademico (la riforma è attualmente in discussione), mentre in Spagna ed in Germania la parte fissa è legata all'inflazione.

In Italia? Si vuole introdurre il sistema per cui, accanto ad una quota base che cresce nel tempo (legata all'anzianità, all'inflazione, a quel che si vuole) ed un'altra legata al lavoro aggiuntivo, sia di didattica che di ricerca. Decleva, Presidente della CRUI, si è dimostrato aperto verso questo disegno. Dunque premiare e favorire maggior impegno, efficienza e merito (che poi costituiscono la base deontologica del docente universitario), punendo al contempo indolenze e sprechi. Il sistema tuttavia, se non è ancorato ad una libertà di stipendio da parte della stessa università (a mio modo di vedere) rischia di saltare lo stesso. Si potrà rispondere: così si rischia di creare docenti di serie A e di serie B, con le grandi università che avranno più fondi rispetto alle piccole.

La risposta più semplice a questa obiezione è che questo sistema già esiste nel mondo del lavoro: c'è chi guadagna di più perché lavora in un'azienda grande o che va molto bene, e chi guadagna di meno perché si trova in un'azienda in difficoltà. È la natura stessa del mercato e l'unico modo per correggerla è legare lo stipendio all'andamento dell'azienda, che è esattamente ciò che hanno firmato i sindacati confederali negli ultimi tempi (a parte la CGIL, ma la sua assenza è il principale indizio che si persegue la strada giusta). Dunque, le università grandi avranno possibilità di liberare la parte dello stipendio che pertiene alla produzione e saranno loro a valutare se tale operazione conviene oppure no. Le piccole università punteranno tutto sull'efficienza, i servizi offerti ed il merito, cercando dunque di attrarre un maggior numero di studenti. Chi fallisce o premia in modo inutile, si vedrà tagliare i fondi dallo Stato (i finanziamenti statali continueranno ad esistere come prima), mentre le università virtuose se li vedranno aumentare: chi può sapere oggi se una piccola università un giorno non diventerà un polo importante (ed il contrario!)?

Ogni sistema funziona con luci ed ombre, non esiste il sistema perfetto, ma soltanto quello migliore o più idoneo in una data situazione. Poi si può discutere anche se sia giusto liberalizzare i contratti dei docenti, cioè se l'università debba ancora assumere per concorso oppure no, ed infine se sia ancora necessario avere un sistema nel quale tutte le università debbano fare sia ricerca sia didattica.

Intanto, a sostenere la riforma del sistema universitario è un giornale non sospetto: il The Economist, acerrimo avversario del Premier Berlusconi e del suo Governo, il quale definisce l'università italiana «corrotta, inefficiente e mal gestita».

3 commenti:

  1. Parlando sempre di università i tagli non ho capito (1,5 miliardi) son tagliati nel giro di 3 o 5 anni???...
    Inoltre ho capito tt il discorso su tasse e sulla legge del limite del 20% ma scusa mi pare un po impossibile che nella realtà non aumentino queste tasse più che altro il controsenso che avevi fatto dicendo che se diminuisce il fondo potrebbe (sec me cosa impossibilee) diminuire la retta...pero diminuendo fondo ordinario e quindi tasse l'universita come si sosterrà????......e poi cmq a livello di universita ce ne saranno molte che magari son ancora sotto di molto il 20% (magari sono al 10% o 15%) e quindi arrivando a 20% aumenterebbero comunque di molto..

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  2. La prima domanda ha la risposta nei documenti ufficiali: il DPEF è quinquennale, ma i tagli sono riportati nella "manovra di bilancio" che è la manovra triennale che copre il 2009, il 2010 ed il 2011. Quindi i tagli sono nel prossimo triennio, per un totale di ca. il 10% dell'attuale finanziamento all'univ. (di cui il FFO è soltanto una parte) ed una media annuale dunque del 3% (che in realtà è 1+4+5 a leggere come è stato ripartito il taglio negli anni: infatti quest'anno il taglio sarà di "soli" 100 milioni).

    Di fatto le università che hanno raggiunto il limite del 20% sono la maggioranza... E tutte le altre sono molto vicine a questa cifra.
    E poi senso o non senso la legge è legge, se si stabilisce il 20% del FFO sempre tale deve rimanere, dunque 20% di 1000 se viene dato 1000 o 20% di 100 se viene dato 100. Però la matematica è univoca: se prima avevo 1200 ed ora ho 120, sempre dieci volte di meno mi viene dato, dunque il rapporto è costante.

    Come si sostiene l'università? L'idea della fondazione nasce proprio da questo problema, ma in ogni caso facendo buona ricerca e buona didattica si avranno più fondi statali e più iscritti, quindi di fatto le università migliori progrediranno mentre quelle peggiori (come è giusto che sia) saranno destinate ad essere chiuse se non cambieranno rotta.

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  3. Una precisazione perché forse quanto scritto nel commento sopra non è chiarissimo.

    Bisogna distinguere la manovra di bilancio triennale dal documento di programmazione economica e finanziaria dell'intera legislatura. In ogni caso, come ho avuto modo di scrivere altre volte, nessuna persona minimamente intelligente può pensare che la spesa programmata oggi per il 2013 rimarrà invariata negli anni a venire, giacché non è pensabile che l'attuale condizione economica perduri per 50 mesi.

    Dunque l'ammontare di tagli previsto nel DPEF, che comprendere anche quelli del 2013, sarà inevitabilmente rivisto, anche in considerazione del fatto che parte dei tagli iniziali è già stata rimodulata con il decreto 180, e dunque quando si arriverà all'approvazione del disegno di legge sull'università, altri soldi saranno spostati/recuperati.

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