giovedì 23 dicembre 2010

La Riforma Gelmini: come cambia l'Università e cosa manca

Oggi se tutto andrà bene sarà il giorno dell'approvazione della cd. legge Gelmini, riguardante la riforma dell'Università. Il voto finale è previsto intorno alle 16 al Senato, poi passerà al vaglio del Capo dello Stato, il quale se non riscontrerà problemi di incostituzionalità evidenti la firmerà ed entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato. Prima di commentare il testo definitivo, alcune sensazioni su questa riforma: probabilmente è la migliore possibile attualmente in Italia. Timida ma organica, affronta alcuni problemi ma ne lascia indiscussi altri. I regolamenti attuativi, la valutazione, la meritocrazia sono i suoi pilastri portanti: se funzionano questi, le risorse cominceranno ad andare dove devono andare, e allora l'università uscirà dallo stallo attuale che la vede fuori da tutte le principali classifiche internazionali.

Come cambia l'Università
  • È presto detto (nel post di ieri si sono visti i singoli articoli di legge): gli atenei potranno fondersi o federarsi, soprattutto quelli più piccoli, per migliorare la spesa; spariranno le cd. pocket university, le università tascabili nei centri di "montagna", comode per professori e studenti del paese ma distruttive per le finanze dello Stato e soprattutto inutili per la formazione e la ricerca.
  • L'università smetterà di produrre cattedre, non sarà più uno stipendificio. Per accedervi, la chiamata sarà a sorteggio all'interno di una lista nazionale: basta accordi preventivi, basta concorsi truccati e cuciti su misura per il candidato "fortunato" (ne ho letto uno recentemente che fa venire i brividi per l'indecenza e la spudoratezza). I professori dovranno ottenere l'abilitazione, anche questa su base concorsuale nazionale.
  • Dovrebbe finalmente entrare in funzione l'ANVUR, ma soprattutto agli studenti viene dato un maggiore potere di valutazione degli atenei. Finalmente il nucleo di valutazione d'ateneo non è in mano ai docenti dell'ateneo stesso (il controllore che valuta il controllato?) ma sarà costituito da una maggioranza di membri esterni.
  • Fissato un limite alla governance universitaria: tutto è a tempo determinato, basta rettori a vita, basta senato a vita, basta cda a vita. Pochi anni e poi via, si cambia: si distruggono in tal modo le relazioni di potere ed il voto di scambio all'interno delle università, soprattutto quelle più piccole. Stabilito anche un numero massimo di membri, per limitare l'assemblearismo.
  • Senato e CDA hanno finalmente ruoli chiari e distinti. Attenzione però a subordinare le scelte scientifiche del Senato alle decisioni di spesa del CDA.
  • Stabilita l'impossibilità per i parenti fino al quarto grado di entrare negli stessi dipartimenti dei professori e più in generale di entrare nell'università per i parenti del rettore: norma che presenta anche qualche punto non chiaro, ma che se ben regolamentata cancella finalmente parentopoli dall'università italiana.
  • Stabilito un percorso certo per i ricercatori: entri nell'ateneo con il tuo bel progettino valutato da una commissione che prevede anche studiosi stranieri di fama internazionale, se dopo un periodo massimo di 6 anni hai dimostrato di essere capace, diventi professore associato e liberi il posto per un altro ricercatore, altrimenti cambi lavoro. Basta ricercatori che hanno 60 anni con una produzione scientifica alle spalle quanto meno opinabile. Finalmente nelle nostre università torneranno professori con meno di 40 anni...
  • Viene favorita la mobilità interuniversitaria di docenti e ricercatori, ma soprattutto i fondi vengono legati al progetto che viene legato al suo responsabile: insomma vanno dove va lui.
  • Per legge viene stabilita l'adozione di un codice etico (che dà diritto a punire chi lo tragredisce) e impone maggiore trasparenza agli atenei. Finalmente potremo sapere come vengono spesi i soldi.
  • Il Governo si attribuisce la delega per riformare, in accordo con le regioni, la legge 390/1991 sul diritto allo studio. Si vuole intraprendere un percorso per spostare il sostegno direttamente agli studenti, onde favorirne anche la mobilità (in Italia ancora troppo bassa).
Cosa manca

  • La cooptazione all'americana, che rende quelle università tra le migliori del mondo. È prevista solo come possibilità, quando un ateneo vuole avvalersi della collaborazione di un luminare straniero.
  • Non è previsto un percorso che porti all'abolizione del valore legale del titolo di studio, percorso teorizzato come fondamentale per il mercato del lavoro già decenni fa da Luigi Einaudi. A parole tutti sono d'accordo, nei fatti nessuno ha il coraggio di cominciare. Puntare sulla qualità dei contenuti e non sulla carta.
  • Le risorse economiche devono essere investite, e non solo spese. Servirebbe un cambio culturale per passare dal quanto al come: è inutile spendere milioni di euro in atenei utili solo alle carriere politiche e/o dell'amico di turno.
  • Bene dare più potere a rettori e professori ordinari, ma soltanto se c'è un contraltare costituito dagli associati, dai ricercatori e dagli studenti: fornire agli ultimi soltanto poteri valutativi e costringere gli altri a rimanere in qualche modo legati al professore di turno può essere pericoloso. Soprattutto nel periodo di passaggio tra il vecchio sistema delle raccomandazioni e dei trucchi ed il nuovo del sorteggio e dei concorsi nazionali.
  • Il diritto allo studio passa nelle mani del Governo, che ora ha maggiori poteri decisionali, ma manca un percorso atto ad allargare la platea degli aventi diritto alle borse di studio e soprattutto ad aumentare il numero di costoro che possono accedere ai fondi: si dovrebbe coprire almeno il 20% degli studenti, per ora siamo fermi a poco più di 150.000 unità, maggiormente concentrate al centro-nord. Si attendono le proposte di modifica della legge 390/1991. In tal senso bisognerà anche capire come sarà potenziata la mobilità degli studenti fuorisede meno abbienti.
  • Qualche cambio anche nell'ambito dei dottorati di ricerca, ma solo a livello terminologico: è purtroppo sparita la dicitura che voleva almeno il 50% dei posti con borsa, quindi adesso potranno nascere anche scuole di dottorato senza borse di studio. Inoltre non viene stabilito con chiarezza il percorso formativo e scientifico del dottore di ricerca: scarsa è la spinta alla partecipazione alle attività di ricerca del dipartimento e all'internazionalizzazione con la partecipazione a seminari e convegni esteri (ad es. alla Sapienza è previsto un rimborso di €250: se io non avessi la borsa di dottorato non potrei partecipare a convegni esteri, pur se relativamente vicini come quello di Vienna).
I problemi
Ovviamente, per i teorici della demagogia statalista, questa riforma è in gran parte inaccettabile: chiamano privatizzazione il possibile ingresso nel CDA di manager provenienti dal mondo imprenditoriale italiano, dimenticando che è fissato un tetto massimo inferiore al 30% e che questo Paese ha un disperato bisogno di reinserire la sua formazione di terzo livello all'interno delle necessità del mercato del lavoro. La chiamata locale su lista nazionale dicono aumenterà la forza dei baroni: peccato che a questa viene affiancata la necessità della trasparenza e della valutazione: la voglio vedere l'Univ. "La Sapienza" che senza dare scandalo assume il professore con poche pubblicazioni e citazioni chiaramente "amico di" mentre lascia a casa il professore in grado di vincere grant a livello nazionale o europeo. Poi il Rettore diventerebbe il padrone assoluto dell'università, controllando di fatto il CDA che ha il massimo potere decisionale: peccato che anche in questo caso vi è la spada di Damocle dell'ANVUR e del meccanismo di valutazione che sposterà i finanziamenti distribuendoli a chi li merita: il Rettore che dovesse gestire per 6 anni l'Università come proprietà personale, si autodistruggerebbe da solo, oltreché arrecare un danno irreversibile allo Stato.
Ma i problemi non si risolvono così: contro gli ultrà socialisti e statalisti, per cui è o tutto bianco o tutto nero, ovvero solo ciò che pensano loro è giusto e santo, non c'è margine di discussione.
Chi tiene davvero all'Università italiana dovrebbe ragionare obiettivamente ed oggettivamente: una riforma serve, una riforma vera, organica, che affronti subito alcuni problemi cronici. La si approvi, poi si metta mano ai regolamenti attuativi per migliorare i punti poco chiari, infine si faccia una seria opera di valutazione della legge stessa, e la si modifichi laddove denuncia carenze. Ci sono 30 mesi di tempo dopo la sua approvazione: lasciamo la demogogia populista dei barbetta che vorrebbero far fallire FinMeccanica con il loro pacifismo da 4 soldi a chi vede saltare la propria carriera universitaria perché da domani le raccomandazioni non saranno più accettate...

Le menzogne
I motivi per protestare ci sono anche, ma è assurdo continuare a sentire la manfrina del taglio ai finanziamenti. Le università sono i settori meno toccato in Italia: nonostante le rette universitarie non siano state toccate, per il 2011 saranno in totale 6,9 miliardi di euro, quando erano 7 miliardi nel 2008 (finanziaria di centrosinistra). Nel maxiemendamento alla finanziaria è stato recuperato 1 miliardo di euro, di cui 800 milioni specificamente dedicati al fondo ordinario. Il fondo per le borse di studio è stato in parte recuperato: tanto per cominciare, si tratta di un fondo integrativo (le borse di studio sono di competenza regionale), per continuare nel 2011 vi saranno 100 milioni di euro previsti per le borse di studio ed i prestiti d'onore. Erano 99 milioni nel 2010: non solo il taglio del 90% è una bufala colossale (inizialmente era previsto un taglio del 75% che riduceva il tutto a 26 milioni di euro), ma alla fine addirittura c'è anche 1 milione in più.

mercoledì 22 dicembre 2010

La riforma Gelmini dell'università: imperfetta ma da approvare assolutamente

Oggi 22 dicembre dovrebbe essere il giorno dell'approvazione della Riforma dell'Università voluta dall'attuale Governo nella persona del Ministro Gelmini. Il voto definitivo potrebbe tuttavia slittare anche a domani 23 dicembre causa bagarre al Senato di ieri pomeriggio che ha costretto l'aula a rimandare ad oggi l'esame di troppi emendamenti ed articoli perché si possa chiudere la seduta in giornata. Mentre a Palazzo Madama avviene tutto questo, per le strade di Roma e le piazze d'Italia i giovani virgulti del Paese si esercitano nel rito propiziatorio e dionisiaco della manifestazione di piazza: promossa dalle sigle studentesche che si rifanno al centrosinistra ed alla sinistra radicale, denunciano chiaramente uno stato di malessere (come ricorda il Presidente Napolitano) di cui si deve tenere conto. Tuttavia una riflessione appare necessaria sul testo del ddl, altrimenti le carte in tavola non corrisponderebbero a quelle originariamente presenti nel mazzo.

  • Art. 1.4: l'ANVUR (voluto fortemente dal già Ministro Mussi ma mai attivato) «verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo» È la base primaria dell'attuazione della direttiva meritocratica: chiunque vi si scagli contro non vuole che l'Università Italiana migliori: la preoccupazione è ovviamente per tutte quelle persone che per decenni hanno campato con i soldi pubblici pur vegetando all'interno di una struttura senza produrre nulla di veramente serio e valido.
  • Art. 2.1: lo statuto degli Atenei deve garantire «trasparenza dell'attività amministrativa e accessibilità delle informazioni relative all'ateneo» Anche qui nulla da eccepire mi pare
  • Art. 2.1d: «durata della carica di rettore per un unico mandato di sei anni, non rinnovabile» Si impedisce che all'interno dell'Università si formi un sistema di potere. Una norma del genere dovrebbe valere anche contro rieleggibilità perpetua di chi vegeta in Parlamento da 30 anni.
  • Art. 2.1e: più poteri al Senato Accademico in materia di «didattica, di ricerca e di servizi agli studenti»
  • Art. 2.1f: il Senato Accademico dovrà essere composto da non più di 35 membri, in relazione alle dimensioni dell'Ateneo, e dovrà comprendere (oltre a Rettore e rappresentanze degli studenti) 2/3 di docenti di ruolo e 1/3 di direttori di dipartimento. Tale Senato potrà restare in carica per un massimo di otto anni, ovvero quattro anni più il rinnovo del mandato per una sola volta (art. 2.1g).
  • Art. 2.1i: nel Consiglio di Amministrazione, composto da un massimo di 11 membri, dovranno essere presenti personalità italiane o straniere di «comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un'esperienza professionale di alto livello con una necessaria attenzione alla qualificazione scientifica culturale», tenendo presente il principio costituzionale della parità tra uomini e donne (art. 2.1L); anche tale Consiglio potrà durare in carica al massimo otto anni, ovvero quattro anni con possibilità di rinnovo per una sola volta (i rappresentanti degli studenti durano in carica massimo due anni) secondo l'art. 2.1m.
  • Art. 2.1q: il nucleo di valutazione dovrà essere composto da personalità in prevalenza esterne all'ateneo il cui CV sia reso pubblico sul sito dell'università
  • Art. 2.2b: «riorganizzazione dei dipartimenti assicurando che a ciascuno di essi afferisca un numero di professori, ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato non inferiore a trentacinque», ovvero quaranta nel caso di grandi Università. Finalmente i Dipartimenti non vengono più creati a iosa al solo scopo di utilizzare l'università come ammortizzatore sociale.
  • Art. 2.2g: istituzione in ciascun dipartimento «senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di una commissione paritetica docenti-studenti, competente a svolgere attività di monitoraggio dell’offerta formativa e della qualità della didattica nonché dell'attività di servizio agli studenti da parte dei professori e dei ricercatori». Agli studenti viene dato il compito di valutare l'offerta complessiva dell'università: invece di considerarlo un grande passo avanti nell'organizzazione della formazione di terzo livello, ci si lamenta?
  • Art. 3: viene stabilito il principio per cui due o più università, oppure istituti tecnici superiori e istituti di ricerca e di alta formazione, possano federarsi o fondersi per razionalizzare i costi e l'offerta formativa.
  • Art. 4: si istituisce un fondo speciale presso il Ministero «finalizzato a promuovere l'eccellenza e il merito fra gli studenti dei corsi di laurea e laurea magistrale». Le modalità di queste prove verranno stabilite nel tempo, mentre all'art. 4.7 si stabilisce come sia alimentato questo fondo. La riforma cioè dice che saranno messi dei soldi con l'unico scopo di erogare premi studio e buoni studi per gli studenti più meritevoli secondo norme di valutazione e prove nazionali. È proprio uno schifo che questi soldi vengano dati solo a chi se li merita e non anche agli asini...
  • Art. 5: si ricorda che i decreti attuativi da approvare entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge saranno finalizzati a riformare il sistema universitario e quindi (aggiungo io) anche a raccogliere le istanze di chiarimento e modifica da più parti provenienti (nell'ambito ovviamente della legislazione). In particolare si dice: «realizzazione di opportunità uniformi, su tutto il territorio nazionale, di accesso e scelta dei percorsi formativi»; «definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali»; «definizione del sistema di valutazione e di assicurazione della qualità degli atenei in coerenza con quanto concordato a livello europeo». Nei successivi 18 mesi all'approvazione dei decreti legislativi (quindi entro 30 mesi dall'approvazione della legge) «il Governo può adottare eventuali disposizioni integrative e correttive».
  • Art. 6: i professori ed i ricercatori a tempo pieno hanno un impegno complessivo di 1500 ore, di cui almeno 350 riservate alla didattica ed al servizio agli studenti. Ai ricercatori potrà essere altresì assegnata la figura di professore aggregato, riconoscendo loro un corrispettivo economico aggiuntivo qualora si vedessero affidatari di moduli e corsi curricolari.
  • Art. 6.8: «i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca» qualora la loro valutazione risulti negativa. Sarà per questo che sono saliti sui tetti a protestare?
  • Art. 6.14: «I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attivita` didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale» In pratica si stabilisce il principio che l'aumento dello stipendio è legato alla qualità del proprio lavoro: in precedenza lo scatto stipendiale era biennale ed automatico, adesso diventa triennale e meritocratico. Sarà per questo che salgono sui tetti a protestare?
  • Art. 7.3: «L'incentivazione della mobilità universitaria è altresì favorita dalla possibilità che il trasferimento di professori e ricercatori possa avvenire attraverso lo scambio contestuale di docenti in possesso della stessa qualifica tra due sedi universitarie consenzienti» A me sembra un'idea intelligente... Tra l'altro si fa salva la titolarità dei progetti di ricerca e relativi finanziamenti, che dunque vengono così legati non all'Università in quanto tale ma al professore e/o al ricercatore che li porta avanti.
  • Art. 9.1: «È istituito un Fondo di ateneo per la premialità di professori e ricercatori» Urca che vergogna... Proprio una proposta da repubblica delle banane (o del bunga-bunga che dir si voglia)...
  • Art. 11: una quota pari all'1,5% del fondo di finanziamento ordinario viene espressamente riservata alle università che presentino una situazione di sottofinanziamento pari al 5% «rispetto al modello per la ripartizione teorica del fondo di finanziamento ordinario elaborato dai competenti organismi di valutazione del sistema universitario».
  • Art. 12: anche nel campo delle università statali non riconosciute, una quota pari al 20% dell'ammontare complessivo dei contributi previsti dalla legge viene ripartita su criteri sentito il parere dell'ANVUR. L'art. 12.3 esclude dalle previsioni di cui sopra le università telematiche, e dovrebbe essere il comma aggiunto alla Camera che ha creato tutta la confusione mistificatrice sull'on. Catia Polidori.
  • Art. 16.1: «È istituita l'abilitazione scientifica nazionale, di seguito denominata «abilitazione». L'abilitazione ha durata quadriennale e richiede requisiti distinti per le funzioni di professore di prima e di seconda fascia. L'abilitazione attesta la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori». Si va verso il modello del concorso nazionale: sarà per questo che i professori salgono sui tetti a protestare?
  • Art. 16.1b: «la possibilità che il decreto di cui alla lettera a) prescriva un numero massimo di pubblicazioni che ciascun candidato può presentare ai fini del conseguimento dell'abilitazione, anche differenziato per fascia e per area disciplinare e in ogni caso non inferiore a dodici» Anche questa mi sembra un'aggiunta interessante, poiché se ben ponderata serve a non creare troppo discrimine, ovvero spinge il candidato a selezionare la propria produzione scientifica migliore.
  • Art. 16.1f: viene costituita una commissione nazionale di durata biennale per le procedure di abilitazione. Un commissario viene sorteggiato all'interno di una lista curata dall'ANVUR che preveda la presenza «di studiosi e di esperti di pari livello in servizio presso università di un Paese aderente all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)» (unico membro ad aver diritto ad un corresponsione). Al comma g si stabilisce inoltre «il divieto che della commissione faccia parte più di un commissario della stessa università». Al comma h si stabilisce anche che i professori che possono accedere alla lista di sorteggio per i commissari dovranno essere professori con valutazioni di merito positive ed il cui CV sia pubblicato su internet.
  • Art. 18: la chiamata dei professori deve rispettare i principi della Carta europea dei ricercatori, deve essere pienamente trasparente e pubblica con chiara esplicitazione di tutte le voci; alla chiamata «non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo». Sebbene la norma debba essere chiarificata per evitare un discrimine al contrario, potrebbe essere il primo passo verso facoltà e dipartimenti che non vengono utilizzati per dare lavoro a parenti, amici e amici degli amici prima di chi se lo merita veramente. Sarà per questo che professori e ricercatori salgono sui tetti a protestare?
  • Art. 20: in relazione alla selezione dei progetti di ricerca, per un periodo di prova di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge si stabilisce «il principio della tecnica di valutazione tra pari, svolta da comitati composti per almeno un terzo da studiosi operanti all'estero, ai fini della selezione di tutti i progetti di ricerca, finanziati a carico delle risorse» statali (PRIN e quant'altro). Questo mi risulta essere stato l'emendamento approvato su proposta dell'on. Marino del PD: forse che professori e ricercatori salgono sui tetti per protestare contro questo emendamento?
  • Art. 21: viene istituito il Comitato nazionale dei garanti per la ricerca (CNGR) composto da almeno 7 studiosi italiani o stranieri di elevata qualificazione scientifica internazionale. Compito di tale organismo è indicare «i criteri generali per le attività di valutazione dei risultati, tenendo in massima considerazione le raccomandazioni approvate da organismi internazionali cui l'Italia aderisce in virtù di convenzioni e trattati» (art. 21.2). Sopprime contestualmente le commissioni di garanzia previste dalle precedenti leggi. Al funzionamento di tale comitato è previsto il 3% dei fondi riguardanti il finanziamento dei progetti o programmi di ricerca.
  • Art. 23.3: «Al fine di favorire l'internazionalizzazione, le università possono attribuire, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio o utilizzando fondi donati ad hoc da privati, imprese o fondazioni, insegnamenti a contratto a docenti, studiosi o professionisti stranieri di chiara fama». Anche questa è una norma da paese delle banane...
  • Art. 24: possono essere assunti ricercatori a tempo determinato per finalità di ricerca e didattiche, all'interno di una rosa di candidati di cui sia preliminarmente valutato il curriculum, la produzione scientifica (tesi di dottorato compresa), unitamente a criteri e parametri nazionali ed internazionali; in seguito, ammissione alla discussione pubblica per i più meritevoli in misura compresa tra il 10 ed il 20% dei candidati, comunque in numero non inferiore a sei; possibilità di prevedere un numero massimo di pubblicazioni da poter presentare (comunque non inferiore a dodici), sui quali si svolge la discussione pubblica; sono esclusi esami scritti ed orali ad eccezione di una prova che attesti l'adeguata conoscenza di una lingua straniera, stabilita dall'Ateneo.
  • Art. 24.3: i ricercatori possono essere chiamati per un periodo massimo di 3 anni, prorogabili per una sola volta per i successivi 2 anni, oppure con contratti triennali della durata di 3 anni per chi ha già usufruito di assegni di ricerca e borse post-dottorato per 3 anni anche non consecutivi.
  • Art. 24.5: i ricercatori che nell'ambito del loro contratto siano stati positivamente valutati sulla scorta di standard qualitativi stabiliti a livello internazionale, possono accedere al titolo di professori associati. Per gli altri è preclusa la carriera universitaria: finalmente diremo basta al precariato dei ricercatori e a coloro che vanno in pensione dopo aver fatto per 30 anni i ricercatori universitari. Non è più accettabile una situazione di questo genere... Sarà per questo che i ricercatori stessi salgono sui tetti a protestare?

I restanti articoli riguardano norme dedicate al personale pubblico e norme transitorie e finali (riguardanti anche finanziamenti accessori) che vi invito a leggere direttamente sul testo. Io continuo a non capire quali siano i punti deboli di questo testo: la vera debolezza è che non affronta alcuni temi, è una riforma in parte timida che non affonda il coltello (dice il proverbio: il medico pietoso fa le piaghe puzzolenti), che non risolve tutte le storture dell'attuale sistema. È una legge imperfetta, ma ASSOLUTAMENTE DA APPROVARE e poi da aggiustare affinché da riforma diventi Riforma. Se i giovani oggi protestano contro il mercato del lavoro, contro i finanziamenti, beh certamente non dovrebbero avere nulla a che rimproverare a questa riforma, se non appunto il fatto che non è veramente incisiva. Ora si attende il testo definitivo approvato dal Senato (sempre che non si verifichi la necessità di un ritorno alla Camera), che vedremo, dopodiché sarà possibile dire cosa manca realmente a questo disegno di legge affinché sia davvero completo. Nel frattempo, leggete e valutate e provate per un momento a ragionare oggettivamente ed obiettivamente se le proteste di piazza siano animate da un vero sentimento di riforme più giuste o piuttosto dalla ferocia politica della parte più radicale del Paese.

Approfondimenti: testo del disegno di legge contenente Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario

Iter di approvazione del ddl Gelmini al Senato

Appello della Fondazione Magna Charta Difendiamo l'Università dalla demagogia, firmato da centinaia, centinaia e centinaia tra docenti, ricercatori

venerdì 10 settembre 2010

Nuove regole per la formazione degli insegnanti

(AGI) - Roma, 10 set. - Un anno di tirocinio per legare teoria a pratica. Attivazione solo in base alla necessita' per evitare il precariato. Piu' inglese e competenze tecnologiche. Sono queste le nuove regole per diventare insegnanti illustrate dal Ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, dopo la firma del Regolamento sulla formazione iniziale dei docenti. "Si passa dal sapere al sapere insegnare - ha detto il ministro - con il nuovo tirocinio ci si forma soprattutto sul campo. Il tirocino avverra' direttamente in classe sotto la guida di un docente tutor per avere maggiori garanzie di risultato". L'anno di tirocino, "parte gia' da quest'anno". "Il numero di nuovi docenti sara' deciso in base al fabbisogno - ha detto ancora - e con la fine del precariato sara' consentito ai giovani l'inserimento immediato in ruolo". Fondamentali l'inglese e le nuove tecnologie: "Ci sara' piu' inglese e sara' necessaria la certificazione B2 in lingua inglese per abilitarsi - ha continuato il ministro - ci sara' un'utilizzazione delle nuove tecnologie in tutte le materie di insegnamento". "Oggi - ha osservato Gelmini - inseriamo un nuovo tassello nella riforma destinata a cambiare il nostro sistema scolastico. Un tassello fondamentale, perche' riguarda la formazione iniziale dei futuri insegnanti. Prevediamo una selezione severa, doverosa per chi avra' in mano il futuro dell'Italia e sostituiamo alle vecchie SSIS un percorso di lauree magistrali specifiche e un anno di tirocinio coprogettato da scuole e universita', concentrato nel passaggio dal sapere al saper insegnare". Con il nuovo sistema per insegnare nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, ha spiegato il ministro Gelmini, "sara' necessaria una laurea quinquennale, a numero programmato con prova di accesso, che consentira' di conseguire l'abilitazione per la scuola primaria e dell'infanzia; sono rafforzate le competenze disciplinari e pedagogiche; e' aumentata la parte di tirocinio a scuola ed e' previsto un apposito percorso laboratoriale per la lingua inglese e le nuove tecnologie". Per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado, ha proseguito il ministro, "sara' necessaria la laurea magistrale ad hoc completata da un anno di Tirocinio formativo attivo; e' prevista una rigorosa selezione per l'ingresso alla laurea magistrale a numero programmato basato sulle necessita' del sistema nazionale di istruzione, composto da scuole pubbliche e paritarie; l'anno di Tirocinio formativo attivo contempla 475 ore di tirocinio a scuola (di cui almeno 75 dedicate alla disabilita') sotto la guida di un insegnante tutor. Rispetto al percorso SSIS (Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario), si prende il meglio di quella esperienza, evitando la ripetizione degli insegnamenti disciplinari, approfonditi gia' nella laurea e nella laurea magistrale, per concentrarsi sul tirocinio (incrementato), sui laboratori e sulle didattiche. Chiudono le SSIS per le secondarie di primo e secondo grado e al loro posto si da' vita al Tirocinio Formativo Attivo della durata di un anno, terreno di incontro tra scuola e universita'". Durante il tirocinio, sara' dedicato "ampio spazio all'approfondimento della didattica con esperienze sul campo che facilitino il passaggio dal sapere al sapere insegnare".

Con questo regolamento, ha sostenuto il ministro, "e' stato dato pieno riconoscimento al sistema nazionale dell'istruzione (formato dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie), tanto nel coinvolgimento nei tirocini quanto nel calcolo dei fabbisogni del personale docente, e si inizia a prevedere la possibilita' di svolgere tirocini anche nelle strutture di istruzione e formazione professionale dove e' in atto la sperimentazione dell'obbligo formativo e nei Centri per l'istruzione degli adulti. Inoltre gli Uffici scolastici regionali organizzeranno e aggiorneranno gli albi delle istituzioni scolastiche accreditate che ospiteranno i tirocini sulla base di appositi criteri stabiliti dal ministero, evidenziandone buone prassi e specificita'. Gli USR avranno anche funzione di controllo e di verifica sui Tirocini. Sino alla costituzione degli albi, le Universita' scelgono liberamente le scuole, di concerto con gli USR che mantengono compiti di vigilanza". Ci sara' un'attenzione particolare per i disabili: "Tutti gli insegnanti, e non solo quelli di sostegno, avranno una preparazione di base ad hoc per i bisogni 'speciali'" ha assicurato Gelmini. L'inglese: sono previsti percorsi di specializzazione per il CLIL, l'insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado di una materia non linguistica in lingua straniera. L'entrata in vigore: l'anno di tirocinio parte da subito. Ma ci sara' un regime transitorio: "Tutti i vecchi laureati - ha spiegato il ministro - potranno conseguire l'abilitazione per la secondaria di primo e secondo grado accedendo, dietro il superamento delle prove di accesso (test preselettivo, esami scritti e orali), all'anno di Tirocinio formativo attivo a numero programmato, che potra' essere attivato da quest'anno accademico. Per l'accesso al percorso e' valorizzato il servizio svolto a scuola, il dottorato di ricerca e l'attivita' svolta in universita'". Il regolamento sulla Formazione iniziale, dunque, ha concluso il ministro dell'Istruzione, "punta a raggiungere quattro obiettivi: 1) focalizza nella formazione iniziale non solo le materie tradizionali ma l'acquisizione di alcune competenze trasversali: seconda lingua inglese e competenze di didattica attraverso le nuove tecnologie; 2) sostituisce al sistema SSIS strutture piu' snelle, concentrate sull'incontro e sulla coprogettazione tra istituzioni scolastiche e universita' evitando autoreferenzialita', costi per il sistema e per gli studenti e abbreviando di un anno il percorso di abilitazione per la scuola secondaria; 3) prevede una programmazione dei numeri in grado di evitare la proliferazione del precariato; 4) prescrive una rigorosa selezione del futuro personale docente.

Con successivo decreto si stabiliranno le lauree magistrali relative al secondo ciclo dell'istruzione, per seguire il percorso di cambiamento del secondo ciclo e delle relative classi di concorso". (AGI) .

Fonte: Agi News on

Per approfondire: Sei-sette anni per assorbire il precariato
Il Ministro presenta la nuova formazione degli insegnanti

martedì 9 febbraio 2010

Al via la riforma dei licei e degli istituti superiori

MILANO - Scatta il conto alla rovescia per l'avvio della riforma della scuola superiore voluta dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, anche se Pd, Flc Cgil e l'Unione degli studenti ribadiscono la richiesta di un rinvio di un anno dell'avvio dei cambiamenti.

È comunque finita l'attesa di famiglie e dello stesso mondo della scuola. Viale Trastevere ha dato infatti il via libera alle iscrizioni al prossimo anno 2010-2011, varando l'apposita circolare ministeriale: per la scuola primaria (elementari) e per la secondaria di I grado (le medie) le iscrizioni si svolgeranno entro il 27 febbraio. Per la secondaria di II grado, ovvero licei e istituti tecnici e professionali, le iscrizioni si svolgeranno dal 26 febbraio al 26 marzo, per «consentire un'adeguata informazione alle famiglie sulla riforma delle superiori». L'entrata in vigore della riforma ha avuto un via libera dal Consiglio di Stato che con tre diversi dispositivi ha dato il «parere positivo» sui regolamenti. Tra alcuni giorni, spiega il ministero dell'Istruzione, «dopo il parere delle commissioni parlamentari, sarà resa nota la versione definitiva dei regolamenti con i quadri orari». Lo stesso ministero procederà poi ad una «massiccia campagna di informazione verso le scuole e le famiglie sulle novità introdotte». «La riforma dei licei - spiegano dal ministero della Gelmini - può essere considerata epocale. L'impianto rivede complessivamente la legge Gentile del 1923. Si introducono due nuovi licei: il musicale-coreutico e quello delle scienze umane. Vengono inoltre rivisti e aggiornati i vecchi licei. Si supera la frammentazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni della scuola italiana. Le famiglie sono disorientate dalla miriade di indirizzi sperimentali, addirittura 396. Dal 2010 gli indirizzi saranno solo 6. L'obiettivo è quello di coniugare tradizione e innovazione».

I nuovi tecnici si divideranno in 2 settori (economico e tecnologico) e 11 indirizzi. «Più inglese, più ore di laboratorio, maggiore sinergia con il mondo del lavoro. I nuovi istituti professionali saranno articolati in 2 settori (Servizi e Industria e artigianato) e 6 indirizzi. Ci saranno più ore di laboratorio, saranno previsti tirocini e ore dedicate all' alternanza scuola-lavoro, per superare la sovrapposizione con l'istruzione tecnica e garantire una formazione immediatamente spendibile nel mondo del lavoro». Per Manuela Ghizzoni e Giovanni Bachelet del Pd, che chiedono il rinvio di un anno della riforma, «dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, si rafforza la richiesta già avanzata dal Pd di rinviare di un anno l'entrata in vigore della riforma della scuola superiore. Se questo non accadesse, la riforma comincerebbe nell'incertezza più assoluta, alimentando le preoccupazioni dei docenti, delle famiglie e degli studenti».

Fonte: www.corriere.it

Il comunicato stampa del MIUR con tutte le novità approvate.

Il testo di legge della riforma approvata nel giugno del 2009.

domenica 22 novembre 2009

Occupazioni a scuola, ci vuole più responsabilità

Il re è nudo. Ecco la riflessione venuta spontanea leggendo la presa di posizione dei presidi romani che hanno messo nero su bianco quello che tutti sapevano da anni e nessuno aveva il coraggio di dire: le occupazioni delle scuole secondarie sono una ritualità vuota, una esperienza diseducativa che si fa per stanca ripetizione di un passato che nessuno ricorda e per non perdere l’usucapione di uno spazio di vacanza aggiuntivo e fuori dalle regole. Per tanti versi questa scuola è lo specchio della società in cu viviamo: ripetitiva dei suoi riti e miti sociali, che però svuota di ogni significato. Si può essere o non essere d’accordo con quello che rappresentò la rivolta giovanile del Sessantotto, ma questi cascami non c’entrano nulla con quella esperienza. Allora era il fenomeno europeo (anzi: occidentale perché coinvolgeva anche gli Usa) di una società in cui i giovani erano maggioranza (la generazione dei babyboomers del dopoguerra, quando in Francia 1 su 3 aveva meno di vent’anni) e cominciavano a pretendere di essere attrezzati per il loro posto nella società opulenta del grande sviluppo; oggi i giovani sono minoranza in una società invecchiata che dubita dei suoi valori e del suo futuro, il fenomeno è solo italiano, e questi giovani più che pretendere un posto per il loro domani chiedono di non fare fatica oggi. Giustamente si invita a non generalizzare, ma è indubbio che non c’è spazio e forza per impedire queste cosiddette “proteste” i cui slogan sono vuoti e i cui obiettivi muoiono all’alba delle vacanze di Natale, per poi far riprendere il solito tran tran, con una scuola sempre più demotivata delle sue responsabilità educative. Chi non è d’accordo si assenta, come appunto avviene nella nostra società: tanto per fare diversamente bisognerebbe usare lo scontro fisico, perché l’abitudine alla discussione, al confronto civile, al misurarsi sulle idee e sulle proposte, e dunque a cedere alla legge della maggioranza, se ne è andata. Esattamente come avviene nella società degli adulti. Così siamo tristemente anche in questo caso nella società degli irresponsabili. Quello che avviene nelle “occupazioni” è extraterritoriale, perché ovviamente la responsabilità collettiva non esiste, e quella personale è coperta dalla omertà dei gruppi (salvo poi a correre a manifestare contro l’omertà che copre la mafia…). Si arriva anche a situazioni assai spiacevoli, con interventi dall’esterno delle scuole di professionisti di queste pseudoagitazioni, sempre con la copertura che trattandosi di esperienze “aperte” bisogna accogliere quelli che vengono a portare “contributi”… La risposta deve essere la repressione? Anche in questo caso è bene non passare da un estremo all’altro. Verrebbe da dire che tanto l’uso legittimo della forza pubblica non lo vuole più nessuno: susciterebbe ulteriori proteste, la società sarebbe pronta a stracciarsi le vesti e a fare causa comune con chi si è reso responsabile di illeciti. Le stesse autorità preferiscono lasciar correre nella consapevolezza che tanto tutto si spegne da solo dopo un po’, basta aspettare. Si arriva all’estremo che gli insegnanti di un istituto di Roma, il Morgagni, devono barricarsi dentro per difendere la loro scuola, con gli studenti che li attaccano dall’esterno per occuparla e le autorità stanno a guardare. Il problema è che comunque quel tipo di repressione che si è in grado di usare nei casi estremi serve a poco: è una sorta di spedizione punitiva delle forze di polizia che rompe qualche testa senza alcuna capacità educativa. Il tema da affrontare è invece quello della responsabilità e della responsabilizzazione. Si vuole protestare, fare la rivoluzione? Benissimo, ma, come in tutti questi fenomeni seri, si devono accettare dei costi. Gli operai che scioperano perdono il salario e non è per loro un danno irrilevante. Gli studenti che vogliono prendersi lo sfizio di occupare devono poi dover lavorare il doppio per recuperare il tempo che hanno perso, devono essere sottoposti al vaglio della verifica severa per vedere se si tratta di persone che hanno qualcosa da dire o di ragazzi che hanno solo voglia di fare un po’ goliardia, devono sapere che sono responsabili collettivamente di tutti gli eventuali danni che provocano, i quali non sono danni verso beni “dello Stato”, ma “della collettività”, cioè anche loro, perché dentro ci sono i soldi che le loro famiglie pagano con le tasse. E, diciamolo francamente, non è sempre solo un problema di educare i ragazzi, perché nella maggioranza dei casi bisogna iniziare dalle loro famiglie, che sono altrettanto irresponsabili, perché non vogliono la grana di figli alle prese con difficoltà, perché a volte hanno nostalgia di rivoluzioni di cartapesta che hanno sognato senza realizzarle, perché in fondo condividono l’idea che nel Nord Est si esprime nel famoso detto “roba del Comun, lè roba de nisun”. Qualche tempo fa i ragazzi gridavano “la crisi non la paghiamo noi”. È uno slogan emblematico dell’irresponsabilità, perché si fonda sull’illusione che si possa decidere chi paga e chi non paga una crisi come si decide se andare o non andare in discoteca. Non è così e se non vogliamo pagare (tutti, ma specialmente le generazioni più giovani) questa crisi di trasformazione a prezzi usurai dobbiamo ritrovare il coraggio di dire ai giovani che bisogna attrezzarsi a cambiare registro. E chi saprà dirlo loro in maniera convincente aggiungerà che questa sì che sarebbe una vera rivoluzione per la quale ci vuole un coraggio da leoni.

Fonte: Paolo Pombeni su ilmessaggero.it

domenica 15 novembre 2009

Come cambia la ricerca in Italia

Dopo l'università, il Ministro dell'Istruzione Gelmini firma un altro provvedimento ancora più importante: quello legato al tema della ricerca in Italia. Ancora una volta, la parola d'ordine è meritocrazia. Gli enti e le comunità scientifiche d'ora in poi dovranno mettere fine alle nomine politiche, e dotarsi di autonomia e responsabilità: redazione dei propri statuti, pianificazione triennale dell' attività, attraverso veri e propri business-plan, partecipazione al capitale di rischio, possibilità di chiamare «cervelli», organi di gestione più snelli. La selezione dei presidenti e dei componenti dei consigli di amministrazione avverrà attraverso una procedura pubblica, con candidature esaminate da un comitato di esperti di livello nazionale e internazionale. Compare anche in questo decreto il numero 7, ad indicare la quota di fondi per progetti speciali che verrà ripartita sulla base di criteri meritocratici. In tal modo si dovrebbe combattere la fuga dei cervelli, e magari cominciare ad attirare anche menti straniere, offrendo loro un sistema snello, meno burocratico e più attento alle esigenze della ricerca in senso stretto, giacché da ora parametro di riferimento per tutti sarà il Programma Nazionale della Ricerca (PNR).

Positivi i commenti dei responsabili dei principali centri di ricerca, dal CNR all'INGV agli altri. Come al solito l'opposizione sospende il giudizio (sempre meglio di certi sindacati contrari a prescindere), forse preoccupata che una fetta importante della sua base elettorale appoggi le riforme di un governo di centrodestra, forse preoccupata dalla fine delle nomine politiche o forse preoccupata del fatto che una delle riforme più importanti in ambito scientifico e culturale italiano dall'epoca del fascismo ad oggi porti la firma di un Ministro dal diverso colore politico. Insomma sempre e comunque contro, mai una volta che abbiano il coraggio di dire "una buona base su cui lavorare", come hanno fatto le persone intelligenti. L'esame in Parlamento per la conversione in legge dovrà correggere gli eventuali punti di criticità che venissero sollevati al termine dell'analisi della portata del testo proposto.

Tale decreto si bassa sulla legge-delega del 27 settembre 2007 n. 165 che dava mandato al Governo di riordinare gli enti di ricerca. Il testo del DL è stato presentato nel Consiglio dei Ministri n. 69 del 12/11/2009.

sabato 14 novembre 2009

Le Regioni usano 12mila precari per far opposizione al governo

Il 5 novembre la Conferenza Stato Regioni ha registrato il parere negativo della maggioranza delle Regioni alla legge di conversione del Decreto Legge 134/09, il cosiddetto “salva precari“. Tra le presenti solo Lombardia, Abruzzo e Sardegna hanno dato parere favorevole.

Il decreto legge è un intervento di sostegno al personale docente e non docente della scuola con contratto annuale nell’anno scolastico 2008-09 che non ha avuto il rinnovo a causa della riduzione dei posti operata con la finanziaria 2008: dei 42.000 posti di docenza ridotti, 30.000 sono stati coperti da pensionamenti, quindi resta interessata una platea di circa 12.000 docenti precari.

Il provvedimento oltre a dare priorità a questi insegnanti nella chiamata per supplenze brevi, consente alle Regioni con fondi propri di sostenere progetti promossi dalle scuole, con il coinvolgimento prioritario di questi lavoratori.

La novità è che questi interventi si configurano come politiche attive del lavoro: infatti i precari che partecipano ai progetti regionali mantengono lo status di disoccupato e il sussidio di disoccupazione, a cui si aggiunge ad integrazione un’“indennità di partecipazione“ e il riconoscimento dell'intero anno di servizio ai fini dell'attribuzione del punteggio nelle graduatorie.

Si tratta di un intervento di carattere straordinario che si fa carico dell’impatto sui lavoratori precari della contrazione di posti, consentendo un’efficace integrazione delle azioni regionali, nell’ambito delle proprie competenze di politiche attive del lavoro e di politica scolastica e formativa.

Il provvedimento è già stato approvato dalla Camera il 21 ottobre ed è al momento all’esame del Senato.

È quindi prevedibile che il parere della Conferenza Stato Regioni, non essendo vincolante, non avrà conseguenze sull’attesa conversione in Legge, ma getta un’ombra sull’effettiva ripresa dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, appena recuperati dopo mesi di stallo.

Le motivazioni del rifiuto delle Regioni, più che al merito del provvedimento, sembrano legate al non volersi compromettere con le conseguenze della riduzione dei posti da parte del Governo, come se l’attivazione di forme di sostegno ai precari fosse un sostegno alla politica governativa. Così il vicepresidente della Giunta regionale calabrese: «È paradossale il tentativo del Governo di scaricare sulle Regioni e sugli enti locali la drastica riduzione di personale scolastico».

Le stesse Cisl e Uil, sentite il giorno prima dalle Regioni, hanno mantenuto invece un approccio più positivo, riconoscendo la ratio dell’intervento straordinario e addirittura che interventi di immediate e concrete tutele sul piano economico e giuridico erano stati sollecitati dalle stesse organizzazioni sindacali.

Per altro è da sottolineare come molte Regioni abbiano già siglato specifiche intese con il Miur per l‘attivazione dei progetti.

In questa direzione si è mossa la Lombardia, che ha sottoscritto tempestivamente un accordo con il Miur già il 7 settembre, attuato poi il 13 ottobre attraverso un patto territoriale con l‘Ufficio Scolastico Regionale, firmato da tutte le sigle sindacali regionali, compresa la Cgil.

Sono già state raccolte le richieste di adesione da parte dei precari - 750 in tutto - e sono in corso gli incontri tra il personale e le scuole ed enti di formazione promotori dei progetti.

È da evidenziare che iniziative di questo tipo possono offrire anche lo spunto per sperimentare forme nuove di politica scolastica; per questi progetti infatti scuole e docenti in Lombardia si incontrano liberamente e non seguono punteggi o graduatorie.

È anche in questo modo che si creano i presupposti affinché le Regioni agiscano concretamente sulla base delle competenze attribuite dal Titolo V, che ancora attende di essere attuato forse anche per la poca iniziativa di molte delle Regioni stesse.

Infine, è questo un caso esemplare di applicazione del principio di sussidiarietà e di piena responsabilità di ciascun livello istituzionale nell’offrire risposte per il bene comune; da questo punto di vista molte Regioni hanno perso un'occasione importante.

Fonte: Eugenio Gotti su ilsussidiario.net