giovedì 23 dicembre 2010

La Riforma Gelmini: come cambia l'Università e cosa manca

Oggi se tutto andrà bene sarà il giorno dell'approvazione della cd. legge Gelmini, riguardante la riforma dell'Università. Il voto finale è previsto intorno alle 16 al Senato, poi passerà al vaglio del Capo dello Stato, il quale se non riscontrerà problemi di incostituzionalità evidenti la firmerà ed entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato. Prima di commentare il testo definitivo, alcune sensazioni su questa riforma: probabilmente è la migliore possibile attualmente in Italia. Timida ma organica, affronta alcuni problemi ma ne lascia indiscussi altri. I regolamenti attuativi, la valutazione, la meritocrazia sono i suoi pilastri portanti: se funzionano questi, le risorse cominceranno ad andare dove devono andare, e allora l'università uscirà dallo stallo attuale che la vede fuori da tutte le principali classifiche internazionali.

Come cambia l'Università
  • È presto detto (nel post di ieri si sono visti i singoli articoli di legge): gli atenei potranno fondersi o federarsi, soprattutto quelli più piccoli, per migliorare la spesa; spariranno le cd. pocket university, le università tascabili nei centri di "montagna", comode per professori e studenti del paese ma distruttive per le finanze dello Stato e soprattutto inutili per la formazione e la ricerca.
  • L'università smetterà di produrre cattedre, non sarà più uno stipendificio. Per accedervi, la chiamata sarà a sorteggio all'interno di una lista nazionale: basta accordi preventivi, basta concorsi truccati e cuciti su misura per il candidato "fortunato" (ne ho letto uno recentemente che fa venire i brividi per l'indecenza e la spudoratezza). I professori dovranno ottenere l'abilitazione, anche questa su base concorsuale nazionale.
  • Dovrebbe finalmente entrare in funzione l'ANVUR, ma soprattutto agli studenti viene dato un maggiore potere di valutazione degli atenei. Finalmente il nucleo di valutazione d'ateneo non è in mano ai docenti dell'ateneo stesso (il controllore che valuta il controllato?) ma sarà costituito da una maggioranza di membri esterni.
  • Fissato un limite alla governance universitaria: tutto è a tempo determinato, basta rettori a vita, basta senato a vita, basta cda a vita. Pochi anni e poi via, si cambia: si distruggono in tal modo le relazioni di potere ed il voto di scambio all'interno delle università, soprattutto quelle più piccole. Stabilito anche un numero massimo di membri, per limitare l'assemblearismo.
  • Senato e CDA hanno finalmente ruoli chiari e distinti. Attenzione però a subordinare le scelte scientifiche del Senato alle decisioni di spesa del CDA.
  • Stabilita l'impossibilità per i parenti fino al quarto grado di entrare negli stessi dipartimenti dei professori e più in generale di entrare nell'università per i parenti del rettore: norma che presenta anche qualche punto non chiaro, ma che se ben regolamentata cancella finalmente parentopoli dall'università italiana.
  • Stabilito un percorso certo per i ricercatori: entri nell'ateneo con il tuo bel progettino valutato da una commissione che prevede anche studiosi stranieri di fama internazionale, se dopo un periodo massimo di 6 anni hai dimostrato di essere capace, diventi professore associato e liberi il posto per un altro ricercatore, altrimenti cambi lavoro. Basta ricercatori che hanno 60 anni con una produzione scientifica alle spalle quanto meno opinabile. Finalmente nelle nostre università torneranno professori con meno di 40 anni...
  • Viene favorita la mobilità interuniversitaria di docenti e ricercatori, ma soprattutto i fondi vengono legati al progetto che viene legato al suo responsabile: insomma vanno dove va lui.
  • Per legge viene stabilita l'adozione di un codice etico (che dà diritto a punire chi lo tragredisce) e impone maggiore trasparenza agli atenei. Finalmente potremo sapere come vengono spesi i soldi.
  • Il Governo si attribuisce la delega per riformare, in accordo con le regioni, la legge 390/1991 sul diritto allo studio. Si vuole intraprendere un percorso per spostare il sostegno direttamente agli studenti, onde favorirne anche la mobilità (in Italia ancora troppo bassa).
Cosa manca

  • La cooptazione all'americana, che rende quelle università tra le migliori del mondo. È prevista solo come possibilità, quando un ateneo vuole avvalersi della collaborazione di un luminare straniero.
  • Non è previsto un percorso che porti all'abolizione del valore legale del titolo di studio, percorso teorizzato come fondamentale per il mercato del lavoro già decenni fa da Luigi Einaudi. A parole tutti sono d'accordo, nei fatti nessuno ha il coraggio di cominciare. Puntare sulla qualità dei contenuti e non sulla carta.
  • Le risorse economiche devono essere investite, e non solo spese. Servirebbe un cambio culturale per passare dal quanto al come: è inutile spendere milioni di euro in atenei utili solo alle carriere politiche e/o dell'amico di turno.
  • Bene dare più potere a rettori e professori ordinari, ma soltanto se c'è un contraltare costituito dagli associati, dai ricercatori e dagli studenti: fornire agli ultimi soltanto poteri valutativi e costringere gli altri a rimanere in qualche modo legati al professore di turno può essere pericoloso. Soprattutto nel periodo di passaggio tra il vecchio sistema delle raccomandazioni e dei trucchi ed il nuovo del sorteggio e dei concorsi nazionali.
  • Il diritto allo studio passa nelle mani del Governo, che ora ha maggiori poteri decisionali, ma manca un percorso atto ad allargare la platea degli aventi diritto alle borse di studio e soprattutto ad aumentare il numero di costoro che possono accedere ai fondi: si dovrebbe coprire almeno il 20% degli studenti, per ora siamo fermi a poco più di 150.000 unità, maggiormente concentrate al centro-nord. Si attendono le proposte di modifica della legge 390/1991. In tal senso bisognerà anche capire come sarà potenziata la mobilità degli studenti fuorisede meno abbienti.
  • Qualche cambio anche nell'ambito dei dottorati di ricerca, ma solo a livello terminologico: è purtroppo sparita la dicitura che voleva almeno il 50% dei posti con borsa, quindi adesso potranno nascere anche scuole di dottorato senza borse di studio. Inoltre non viene stabilito con chiarezza il percorso formativo e scientifico del dottore di ricerca: scarsa è la spinta alla partecipazione alle attività di ricerca del dipartimento e all'internazionalizzazione con la partecipazione a seminari e convegni esteri (ad es. alla Sapienza è previsto un rimborso di €250: se io non avessi la borsa di dottorato non potrei partecipare a convegni esteri, pur se relativamente vicini come quello di Vienna).
I problemi
Ovviamente, per i teorici della demagogia statalista, questa riforma è in gran parte inaccettabile: chiamano privatizzazione il possibile ingresso nel CDA di manager provenienti dal mondo imprenditoriale italiano, dimenticando che è fissato un tetto massimo inferiore al 30% e che questo Paese ha un disperato bisogno di reinserire la sua formazione di terzo livello all'interno delle necessità del mercato del lavoro. La chiamata locale su lista nazionale dicono aumenterà la forza dei baroni: peccato che a questa viene affiancata la necessità della trasparenza e della valutazione: la voglio vedere l'Univ. "La Sapienza" che senza dare scandalo assume il professore con poche pubblicazioni e citazioni chiaramente "amico di" mentre lascia a casa il professore in grado di vincere grant a livello nazionale o europeo. Poi il Rettore diventerebbe il padrone assoluto dell'università, controllando di fatto il CDA che ha il massimo potere decisionale: peccato che anche in questo caso vi è la spada di Damocle dell'ANVUR e del meccanismo di valutazione che sposterà i finanziamenti distribuendoli a chi li merita: il Rettore che dovesse gestire per 6 anni l'Università come proprietà personale, si autodistruggerebbe da solo, oltreché arrecare un danno irreversibile allo Stato.
Ma i problemi non si risolvono così: contro gli ultrà socialisti e statalisti, per cui è o tutto bianco o tutto nero, ovvero solo ciò che pensano loro è giusto e santo, non c'è margine di discussione.
Chi tiene davvero all'Università italiana dovrebbe ragionare obiettivamente ed oggettivamente: una riforma serve, una riforma vera, organica, che affronti subito alcuni problemi cronici. La si approvi, poi si metta mano ai regolamenti attuativi per migliorare i punti poco chiari, infine si faccia una seria opera di valutazione della legge stessa, e la si modifichi laddove denuncia carenze. Ci sono 30 mesi di tempo dopo la sua approvazione: lasciamo la demogogia populista dei barbetta che vorrebbero far fallire FinMeccanica con il loro pacifismo da 4 soldi a chi vede saltare la propria carriera universitaria perché da domani le raccomandazioni non saranno più accettate...

Le menzogne
I motivi per protestare ci sono anche, ma è assurdo continuare a sentire la manfrina del taglio ai finanziamenti. Le università sono i settori meno toccato in Italia: nonostante le rette universitarie non siano state toccate, per il 2011 saranno in totale 6,9 miliardi di euro, quando erano 7 miliardi nel 2008 (finanziaria di centrosinistra). Nel maxiemendamento alla finanziaria è stato recuperato 1 miliardo di euro, di cui 800 milioni specificamente dedicati al fondo ordinario. Il fondo per le borse di studio è stato in parte recuperato: tanto per cominciare, si tratta di un fondo integrativo (le borse di studio sono di competenza regionale), per continuare nel 2011 vi saranno 100 milioni di euro previsti per le borse di studio ed i prestiti d'onore. Erano 99 milioni nel 2010: non solo il taglio del 90% è una bufala colossale (inizialmente era previsto un taglio del 75% che riduceva il tutto a 26 milioni di euro), ma alla fine addirittura c'è anche 1 milione in più.

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